01052024Headline:

Il minuto di silenzio per un defunto? No

arbitro donnaDura la vita. Ancor più quella dell’arbitro. Si passa da “si le stronze volaveno, toccava guernatte co la fionda”. Laddove “guernatte” sta per governarti, darti da mangiare. A “brutto rospo nero”. Un grande classico, intramontabile. E se poi ad indossare il fischietto è una lei, ecco che la faccenda si complica all’ennesima potenza. E di documentabile rimane solo un “va a tenna le panne, che è mejo”. Tutto il resto è da censura. Roba forte.

Come sempre però per avere un quadro il più possibile neutrale della storia tocca di leggerla dai poli opposti. Fronte popolare. E quindi incacchiature senza tempo, più sfoghi da repressioni sessuali e assimili. Una volta c’era il Colosseo. Ora si va al campo. Fronte arbitrale. Povere anime gettate nella mischia per quattro soldi e con pochissima preparazione alle spalle.

Ciò che ne esce è il patatrac. Il vuoto cosmico. E l’imbarazzo totale dei presenti. Quello avvertito la scorsa settimana nella gara tra Vi.Va e Vigor Nepi. Non Real Madrid – Manchester United. Oltretutto, categoria Giovanissimi. Quindi si sta parlando di quattordicenni. Piuttosto, Vi.Va. sarebbero Vignanello più Vallerano.

A gestire le due brigate ormonali viene inviata una signora in black dal doppio cognome. Che eviteremo di citare per completo, questioni di galanteria. La tipa si dimostra subito in formissima. “Vorremmo fare un minuto di raccoglimento per una persona a noi cara, il padre di un bambino tesserato che è venuto a mancare – le chiedono i padroni di casa – se gentilmente ce lo concede”. Giammai. La replica. Dai piani alti nessuna comunicazione e quindi si procede per copione. Poi l’intervento telefonico di uno dei vertici ribalta le carte e la signorina cede. “Forse legandosela al dito”, giurerebbe qualcuno.

Tant’è che nei minuti seguenti accade il finimondo. Riassumibile in tre punti cardine. A: due giocatori restano a terra dopo uno scontro. Il fischietto fischietta. E invece di scodellare la sfera per far riprendere il gioco, chiede ai ragazzi di proseguire da come ci si era fermati. Tipo, come se avessero spinto “stop” sul telecomando. La punta incredula tira (la nepesina) e va in rete. Per la gioia, pardon le risate, della tribuna intera. Locali e non. All’unisono. B: viene ravvisato un controfallo. Una rimessa laterale nata storta. Che passa così agli avversari. E poi invece no. In realtà la fischiata era per portare l’attenzione verso le panchine. C’è un cambio da fare. E facciamolo. Poi riprendiamo con calma e da dove si era rimasti. C: una punizione a due viene calciata direttamente in porta. Il portiere (guarda caso di casa) per salvare il gol si fa male. Sbattendo sul palo. Ma non era indiretta? Madama scuote la testa da destra verso sinistra ripetutamente.

Ora. Che sia sempre sbagliato e poco cavalleresco insultare una lady, ma anche un ometto, è scritto pure nel galateo. Che una partita di calcio, per quanto importante possa essere, rimane sempre una partita di calcio, è chiaro a tutti. Che svegliarsi la domenica per andare a gestire cinquanta bestie dentro un rettangolo, per quattro spicci, è più una missione che un lavoro, non si discute. “Il problema però è un altro – chiudono così quella della Vi.Va. – perché gettare ragazzi e ragazze impreparati in una fossa di leoni? Noi l’abbiamo presa a ridere. Non tutti sono così auto ironici”.
Già.

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