L’acqua è sempre più cara, per le famiglie. Nel 2014 rispetto al 2007 (più 52.3 per cento a livello nazionale, addirittura più 72 per cento nel Lazio), ma anche dal 2013 al 2014. Questo il dato più clamoroso che emerge dal consueto rapporto di Cittadinanzattiva, che attraverso il suo osservatorio sui prezzi e le tariffe ha appena pubblicato i dati relativi appunto allo scorso anno.
La buona notizia: Viterbo non è tra le dieci province italiane dove il canone per il servizio idrico è più salato. Ci sono tante città toscane (anche le confinanti Siena e Grosseto, dove ogni famiglia spende 562 euro l’anno di bollette), c’è Frosinone e Pesaro e Urbino. L’assenza della Tuscia è confortante, nonostante gli aumenti retroattivi varati da Talete (la società di gestione) negli ultimi tempi, in linea con quanto previsto dall’autorità per l’energia.
Però Viterbo non è neanche tra le zone d’Italia dove l’acqua si paga di meno. Dieci paradisi che vanno da Isernia (120 euro l’anno) a Imperia (212) passando per Milano (136). Nessuna di queste è del Lazio, e infatti il dato regionale colloca la nostra regione nella media, con 371 euro di bollette nel 2014 ad utenza (aumento dell’11 per cento rispetto al 2013), mentre il dado nazionale è di 352 euro. Il Lazio semmai è messo male in quanto a dispersione idrica, la percentuale cioè di acqua che si perde dalla fonte alla destinazione: nel 2014 questo dato è arrivato al 60 per cento, contro il 37 per cento del 2007. Un problema che riguarda anche il nostro Ato (ambito territoriale ottimale), in quando “debole”, cioè che copre un territorio vasto ma relativamente poco popolato.
Per quanto riguarda la Tuscia, Cittadinanzattiva l’ha inclusa nella lista dei disservizi per quanto riguarda il 2014, a causa della ben nota vicenda arsenico e della procedura di infrazione emanata dall’Unione europea: una criticità che dovrebbe essere completamente risolta già a partire dal 2015, dall’entrata in funzione cioè degli impianti di dearsenificazione. La stessa Tuscia, però, è tra quelle zone d’Italia (il 56 per cento delle province) che possono godere di agevolazioni tariffarie per varie ragioni, dal reddito alla numerosità del nucleo famigliare.