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L’indagine Federlazio: “La svolta ancora non c’è”

Nel secondo semestre del 2014 solo l'export intercontinentale ha dato ossigeno alle imprese

Il direttore di Federlazio giuseppe Crea e il presidente Gianni Calisti

Il direttore di Federlazio giuseppe Crea e il presidente Gianni Calisti

Le aspettative dei primi sei mesi del 2014 non sono state completamente rispettate. L’export è quello che tiene a galla le aziende viterbesi, ma solo per le richieste che arrivano fuori dall’Europa (Medioriente, Asia), perché nell’Unione i dati non sono positivi e la domanda interna continua ad essere bassissima. Per il 2015 c’è qualche speranza in più, tutta da valutare e aggrappata alle novità del Jobs act e del quantitative easing, il bazooka di Draghi per immettere denaro fresco nelle banche dalla Bce.

Questo il quadro dell’indagine congiunturale della Federlazio per il secondo semestre del 2014 (da giugno a dicembre), presentata ieri dal presidente Giovanni Calisti, dal direttore Giuseppe Crea, insieme al funzionario Mario Adduci. Trecentocinquanta le piccole e medie imprese campione nell’intero Lazio, di cui 46 in provincia di Viterbo: la maggior parte davvero piccole (da 1 a nove addetti) anche se con una buona percentuale tra 10 e 49 dipendenti.

QUARTA REALTA’ DEL LAZIO Intanto, la dimensione viterbese. Quarta provincia del Lazio per numero di aziende (33.274 imprese attive, con lo 0.43 per cento di imprese in più rispetto al 2013) davanti soltanto a Rieti. “Con una novità importante rispetto al passato – ha spiegato Crea – La Tuscia ha perduto quel carattere di aciclicità che, in periodo di crisi a livello nazionale, vedeva l’economia viterbese restare a galla: ormai anche i nostri dati si attestano su quelli macroeconomici”. Insomma: quando va male l’Italia – e negli ultimi anni è sempre stato così – andiamo male anche noi. Anche se nel settore prettamente industriale Viterbo è l’unica realtà in crescita nella Regione: più 1.09 per cento mentre il dato regionale è negativo (meno 0.63 per cento), per non parlare di quello nazionale (meno 1.50 per cento).

FUORI DALL’EUROPA SI ESPORTA MEGLIO Veniamo ai dati di produzione e di fatturato, che risentono della situazione generale e che vedono confermata la crescita già intravista nella prima parte del 2014. “Ma attenzione: sono gli ordini da fuori Europa, specie dall’Oriente e dal Medioriente, a fare la differenza in positivo, con un aumento del 66.7 per cento – dice Crea – Il mercato all’interno dell’Unione è stabile, perché l’Europa ha continuato a soffrire. E peggio ancora per il mercato nazionale, che ha registrato un incremento minimo. E’ la domanda interna che non tira”.

IL LAVORO E l’occupazione? E’ stabile, tiene. Anche se c’è da premettere che i dati in possesso di Federlazio si riferiscono naturalmente al periodo prima dell’entrata in vigore del Jobs Act: “Gli organici delle aziende sono rimasti stabili nel 55 per cento dei casi – dice Mario Adducci – E’ leggermente diminuita la percentuale di aziende che sono ricorso agli ammortizzatori sociali, e di poco sono calate anche le ore di cassintegrazione”. Nel dettaglio: è diminuita la cassintegrazione guadagni (- 0.8 per cento), è aumentata la cassintegrazione ordinaria (+ 4.4 per cento) e la cassaintegrazione straordinaria (addirittura +120.8 per cento), mentre è crollata la cassintegrazione in deroga (-23 per cento). Dei dati che saranno comunque destinati a cambiare nel 2015, visto che il Jobs act prevede da gennaio sgravi contributivi alle aziende che faranno nuove assunzioni a patto che però non abbiano personale in cassintegrazione. E proprio il Jobs act sarà l’oggetto di un convegno che Federlazio organizzerà il prossimo 13 aprile all’Università della Tuscia in collaborazione con lo stesso ateneo e gli ordini dei commercialisti e dei consulenti del lavoro.

Mario Draghi

Mario Draghi

LA CRISI E I PROBLEMI Ma quali sono state le problematiche affrontate dalle imprese nel secondo semestre del 2014? Al primo posto l’insufficienza della domanda (“Segno, a mio parere, che gli ottanta euro di Renzi non hanno aumentato i consumi”, dice Crea), poi i ritardi dei pagamenti da parte dei privati, e della pubblica amministrazione. Più staccati, la difficoltà di erogazione del credito da parte delle banche e l’impossibilità a partecipare agli appalti.

Qualcosa cambia nella percezione della crisi. “La risposta preferita dagli imprenditori ascoltati non è ‘il peggio deve ancora venire’, che esprimeva il massimo del pessimismo e che invece adesso è in calo”. Infatti: ora il 58.2 per cento dice che “al momento non si vede alcuna via d’uscita”, ma un 35 per cento confida che si cominci “ad intravedere una via d’uscita” e che “il peggio è ormai alle spalle”.

IL PUNTO DI CALISTI Questa visione è confermata dal presidente di Federlazio, Gianni Calisti, nel suo intervento riassuntivo: “La crisi è iniziata ad ottobre 2008 e ancora non si vedono grandi segnali di ripresa – ha detto l’imprenditore civitonico – Le aspettative che si erano intraviste all’inizio del 2014 non sono state confermate, e in più è impossibile negare che le aziende si sentano abbandonate dalla politica, specie nell’unico settore in crescita, quello dello export intercontinentale. Qui la politica, l’amministrazione, impiega mesi per risolvere una questione, l’imprenditore il giorno dopo è già pronto. Per questo siamo costretti a rinviare la crescita e ad aspettare, con tutto quello che comporta questa attesa in termine di costi e di sacrifici. Sì, siamo meno ottimisti rispetto all’ultimo rapporto”.

Anche se qualcosa potrebbe cambiare presto gli scenari: “Le misure della Bce stanno già facendo registrare dei cambiamenti nell’accesso al credito – dice Calisti – Abbiamo l’impressione netta che le banche si stiano muovendo”. Ma l’obiettivo finale, quello che le piccole e medie imprese sognano, è ancora lontano: “Creare un habitat favorevole alla crescita – illustra Crea – riducendo la pressione fiscale, in cui le misure del Governo ormai assomigliano ad una giungla, riducendo pure i costi dell’energia e gli sprechi, e la burocrazia. Abbiamo bisogno di questo”.

 

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