02052024Headline:

L’olio Tamia (ri)conquista l’America

Il nettare di Vetralla miete successi a New York e a Los Angeles (e anche a Parigi)

Pietro Re, uno dei tre soci che producono Olio Tamìa

Pietro Re, uno dei tre soci che producono Olio Tamìa

Sei riconoscimenti internazionali in meno di ventiquattr’ore. Uno beccato nella Grande mela, a New York. Un altro dai cugini, a Parigi. E gli ultimi quattro a Los Angeles. Per un bottino annuale che già conta nove premi. E, tanto per ricordarlo, siamo appena ad aprile.

Comunque. L’azienda agricola Sergio Delle Monache procede a gonfie vele. Alla faccia della crisi e delle stagioni disastrose. L’olio prodotto, il Tamia (perché è di questo che si sta parlando) spopola in tutto il mondo. Ed i tre soci hanno intenzione di non fermarsi.

Viterbopost ha fatto due chiacchiere con uno di loro, Pietro Re. Per dovere di cronaca, Francesco Delle Monache e Pietro Farina rappresentano gli altri due terzi del cielo.

Innanzitutto: dove siete ubicati?

“A Vetralla”.

Quante piante e quali varietà avete?
“Duemila e cinquecento. Più mille fresche fresche. Si va dal classico Caninese, ad arbusti tipici come Frantoio e Leccino”.
Per una produzione media annua?
“Molto variabile, chiaramente. Ma diciamo tra i 30 e i 70 quintali. Stiamo poi lavorando su alcune partnership”.
Da quanto tempo vi dedicate all’oro verde?
“Il sito è attivo dal 1928. Abbandonato, e ripreso a pieno ritmo dal 2013”.
Così giovani e già così di moda?
“Siamo convinti che la Tuscia sia la Bulgari dell’olio”.
Nel senso che il litro costa quanto una borsa del suddetto stilista?
“No. Più che altro le condizioni geografiche, quindi clima e terreno, qui sono uniche al mondo”.
E i risultati parlano chiaro.
“Già, occorrono attenzione e metodo. Ma si può arrivare al top”.

Il premio conquistato a New York

Il premio conquistato a New York

Come ve lo spiegate questo successo?
“Siamo partiti, anzi ripartiti, con l’intento di raggiungere certi obiettivi. Siam piccoli, come tanti in zona. Quindi, in un certo senso, condannati all’eccellenza”.
E con quali presupposti vi siete spunti oltre oceano?
“C’è grande attenzione fuori per il bio. E ancora di più per la dieta mediterranea. L’olio ne è la base. Semplice”.
Come riesce a sposarsi un prodotto così internazionale col minuscolo mercato locale?
“Chi è attento ci cerca. Andiamo bene pure qua. Tra hotel, ristoranti, e consumatori privati”.
Cambiamo pinzo: tanti riconoscimenti nonostante il 2014 viene ricordato come una delle peggiori annate di sempre.
“Per noi, ok. Ma anche per tutta Italia. Significa che nel male globale, abbiamo comunque fornito un’altissima qualità”.
E come ci siete riusciti? In molti di bio non ne hanno fatto nemmeno una goccia.
“Raccolta anticipata. Che rende meno ma assicura qualità assoluta. E poi lavorazione immediata, ringraziamo quindi il frantoio Colli etruschi di Blera che ci coccola. Infine conservazione sotto azoto”.
In chiusura: se ne è andato un inverno abbastanza regolare. La primavera è primavera. L’estate parrebbe discreta. Prospettive future?
“Per ora tutto liscio. La fiducia è riposta in una campagna olearia migliore. E si guarda sempre in avanti”.

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