“Si giocava Milan-Roma, il 13 dicembre dell’87. Il numero uno capitolino, Tancredi, si beccò un petardo vicino all’orecchio, e svenne. Pruzzo mi disse che sarei dovuto entrare io, un diciassettenne. La situazione era drammatica, tesissima. Ma i compagni mi tranquillizzarono. Confidandomi che anche se avessi preso dieci gol avremmo vinto comunque a tavolino…”. Parte così l’intervista fiume rilasciata da Angelo Peruzzi da Blera al giornalista Paolo Condò. All’interno della trasmissione “Confidential Condò”, su Gazzetta Tv (il lato televisivo) e sulla Rosa direttamente.
Il portiere viterbese torna in questo modo a parlare della sua lunga e plurimedagliata carriera. Ripercorrendone le fasi più importanti. I dolori e le gioie. E incominciando il racconto proprio dall’esperienza in giallorosso. “Fui trovato positivo alla fentermina – prosegue, senza peli sulla lingua – È stata la peggior stronzata che ho fatto. Venivo da uno stiramento e non volevo farmi di nuovo male, così presi il Lipopil. Ho pagato con un anno di squalifica questa leggerezza. Errori di gioventù”.
Ed è già tempo di Juve. Di grandi successi. Il periodo d’oro di Angelo nostro da Blera. “Il presidente Agnelli mi chiamava sempre alle 7 di mattina. La prima volta rispose mia moglie, convinta che era uno scherzo telefonico. Misi giù la cornetta. Quando riprovò a contattarmi la sua prima domanda fu ‘Quanto pesi?’. Divenne un tormentone. Me lo chiese in eterno”.
Altra chicca, sempre sull’Avvocato: “Una volta venne a vedere un allenamento con Gorbaciov e da dietro la porta mi chiese quanti rigori sarei riuscito a parare a Platini. Io gli dissi tre, forse quattro. E lui: ‘Io penso nessuno’…”.
Spazio alla moviola. “Quel famoso gol non gol di Bianconi in Empoli-Juve era dentro almeno venti centimetri – confessa – L’avrei voluto dire dopo, durante le interviste. Ma mandarono un altro”.
Con i bianconeri Peruzzi ha vinto tre scudetti, una Coppa Italia, due Supercoppe italiane, una Coppa Uefa, una Champions league, una Supercoppa europea e una Coppa intercontinentale. Diventando anche una delle colonne della Nazionale. “Nel 2000 c’erano Buffon e Toldo in formissima – così ricorda la maglia azzurra – non mi andava di fare il terzo. Mentre nel 2006 ero più maturo, e vinsi il Mondiale tedesco come secondo di Gigi. Festeggiammo come pazzi, ma mi sentii comunque in dovere di andare a consolare l’amico Zidane. Lo trovai che fumava, a testa bassa. Non parlammo molto. E guai a tirar fuori la storia della testata a Materazzi”.
E questo è un estratto dell’epopea di Angelo Peruzzi. Un ragazzo di provincia che ce l’ha fatta. Che è rimasto sempre se stesso. Che appena ha potuto è rientrato in patria, a Blera, per aiutare i concittadini. Si è buttato in politica. Continua a non dire mai di no a qualsiasi invito. È sempre presente ad ogni chiamata. Lo si può trovare perfino a caccia (in realtà anche mentre giocava in A) di dentro ai boschi del viterbese. Nonostante una gloriosa carriera che, stando ai fatti, ancora fa eco.