02052024Headline:

“La domenica dovrebbe aprire solo il Corso”

Confesercenti partecipa al dibattito sulla regolamentazione degli orari di lavoro

Il caro e vecchio cartellone degli orari

Il caro e vecchio cartellone degli orari

Benvenuti nel Far West. Benvenuti in Italia. Il tema della settimana, uno dei (diciamo solo un tantino più serio dell’elezione della miss), è un vecchio e caro déjà-vu. La politica, infatti, sta nuovamente affrontando la patata bollente dell’orario di apertura dei negozi.
Segue breve riassunto delle puntate precedenti. Un tempo la tendenza generale, anzi l’obbligo, era quello di rispettare le regole imposte. Cose tipo: dalle 8 alle 13, dalle 16 alle 20. E la domenica non si apre manco sotto tortura. Il mondo poi, però, è cambiato. E con lui le esigenze globali. Quindi più potere di scelta ai Comuni, ed elasticità morbida in base ai siti, alle circostanze, a questo e a quello.
Situazione attuale: ognuno fa come gli pare. Per volere di tanti, troppi. Compresi quelli che in questi giorni ci stanno ripensando.
È tempo quindi di tirare una riga. Di capire come procedere in futuro. Di analizzare e semmai correggere.
Il trittico che richiede a gran voce, e più degli altri, delle regole, è formato dai sindacati (che, come si diceva poc’anzi hanno ingranato la retromarcia), dalla Chiesa (che come sempre deve esprimersi su cose che non la riguardano) e da Confesercenti.
Proprio l’associazione di categoria ha dedicato alla spinosa faccenda un meeting, a Perugia. “E precisiamo subito – dice il presidente locale, Vincenzo Peparello – un conto sono le liberalizzazioni, un altro la ‘deregulation’. Vanno messi dei paletti. Hanno chiuso 70mila imprese. E allo Stato mancano 22miliardi di euro, a causa dell’abusivismo”.
Calma. Andiamo per ordine. “Logico – prosegue Peparello – Prendiamo Montalto di Castro. D’estate al mare la gente esce alle otto di sera. Quindi è normale che si tengano le serrande alzate. Già al paese però è differente. A meno che non ci siano il patrono, l’evento, il caso eccezionale”.

Vincenzo Peparello, Confesercenti

Vincenzo Peparello, Confesercenti

Allora passiamo a Viterbo. Perché nei festivi la Coop (per dirne una a caso) è aperta, e al centro per prendersi un bicchiere d’acqua tocca di girare col bastone da rabdomante? “Eccoci – sempre lui – la grande distribuzione ha colpe enormi. La prima è quella di aver piegato il buonsenso e le politiche regionali. La seconda, quella di aver ammazzato i piccoli. Al centro del turismo si deve porre l’individuo. Che, da turista, appunto, non cerca la mortadella. Bensì il ristorantino, il souvenir, il prodotto tipico. A Viterbo la domenica dovrebbe essere aperto solo il ‘corso’. Lo diciamo da una vita”.
Che poi la Gdo (grande distribuzione, ndr) quali benefici porta? Oltre al latte che uno s’è scordato di comperare il sabato? “Nessuna – chiarisce – perché le persone hanno anche bisogno di riposo e di stare coi familiari. E perché quasi tutti i supermercati ormai sono di proprietà estere”.
Chiusura. Come se ne esce? “Con le regole e coi controlli – il saluto di Peparello – altrimenti in questo caos ognuno fa come vuole. E a pagarne le conseguenze, ironia della sorte, sono quelli in regola che si comportano bene”.

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