02052024Headline:

Come far dialogare vittima e colpevole

Si è concluso il progetto Micro, iniziativa per il recupero dei detenuti e non solo

Le operatrici che hanno portato avanti il progetto Micro

Le operatrici che hanno portato avanti il progetto Micro

Tutto nasce da un concetto sul quale non si può non essere d’accordo: il detenuto, dopo aver scontato la pena alla quale era stato condannato, ha il diritto di essere reinserito e, d’altro canto, lo Stato e la società hanno il dovere di operare in questo senso. Fino a qui, tutto abbastanza normale, ma non scontato. Il fatto è che molti procedimenti non si concludono neppure con la reclusione, ma con una serie  di misure alternative che non prevedono il carcere: si parla della metà circa dei processi. E in questi (tanti) casi che succede? Domanda pertinente alla quale se ne aggiunge un’altra ancora più stringente: che cosa accade delle vittime, della cosiddetta parte offesa? Persone che hanno subito un danno (fisico, economico, morale) che nell’attuale struttura della giustizia spesso rimangono ai margini. E allora? A questo insieme non semplice di questioni, cerca di rispondere il modello di giustizia riparativa, caratterizzato dal ricorso a strumenti che promuovono la riconciliazione tra i soggetti confliggenti (imputato e vittima), la riparazione simbolica e/o materiale delle conseguenze negative del conflitto.

Caterina Caldarola, responsabile dell'Uepe

Caterina Caldarola, responsabile dell’Uepe

Nel suo piccolo, la Tuscia si pone come leader nella promozione della cosiddetta mediazione penale attraverso Micro (acronimo che sta per Mediatori in carcere, la riparazione all’opera), progetto finanziato dalla Regione Lazio e proposto dal Simspe (Società italiana di medicina e sanità penitenziaria)  in collaborazione con l’Uepe, Ufficio dell’esecuzione penale esterna di Viterbo e Rieti, e il Ceis, e in rete con le associazioni Spondè e Mediante. Progetto ambizioso e, per certi versi, anche intrigante portato avanti da un team di operatrici qualificate ai massimi livelli che si sono cimentate nel complicato tentativo di dare un futuro (diverso e migliore) a chi ha avuto guai con la giustizia. Ne parla con entusiasmo Giulio Starnini, direttore dell’Unità operativa complessa di Medicina protetta dell’ospedale di Belcolle, il primo a crederci e a proporlo a Caterina Caldarola, responsabile dell’Uepe. In 11 mesi sono stati trattati 44 casi che hanno coinvolto 5 mediatrici, un coach (Maria Pia Giuffrida), un supervisore e la project manager Chiara Frontini che ha predisposto il programma di intervento.

In estrema sintesi, Micro cerca attraverso colloqui individuali, incontri di gruppo e altri interventi di varia natura di permettere al reo un graduale reinserimento nel tessuto connettivo della società. Un processo che passa attraverso il riconoscimento del danno procurato e l’individuazione dei mezzi utili a ripararlo. Un cammino difficoltoso e sicuramente impervio, i cui risultati sovente non sono immediati, ma destinato a diventare attraverso una lenta evoluzione (soprattutto culturale) un modello applicabile e fruibile da parte di tutti. “E’ molto più utile e meno costoso – sottolinea Starnini – recuperare un reo che tenerlo chiuso in carcere senza alcuna possibilità di redenzione e di reinserimento nella società”. “Spesso in carcere – aggiunte la dottoressa Caldarola – non c’è la possibilità di lavorare e questo vale anche per chi non è detenuto”. Riconciliazione, riparazione, mediazione, reintegrazione: ecco le parole d’ordine con le quali si è mosso il progetto Micro.

La presentazione dei risultati del progetto Micro: al centro il dottor Giulio Starnini

La presentazione dei risultati del progetto Micro: al centro il dottor Giulio Starnini

Ma c’è un ulteriore passaggio, ancor più complicato: la mediazione tra colpevole e vittima. E qui si entra in un terreno decisamente più delicato. Come è possibile far dialogare l’autore di un delitto con la persona e/o i familiari che hanno subito un danno? Graffi spesso indelebili: nell’anima, nel fisico, nelle proprietà. Le procedure in questi casi (finora 45 in Italia) sono affidate a percorsi complessi, durante i quali la vittima ha sempre la possibilità (quand’anche avesse accettato di cominciare) di sottrarsi. Sentieri stretti e impervi al termine dei quali, comunque, il sollievo morale è indubbio. E comunque, vale la pena provarci: come hanno saputo fare con delicatezza e competenza le operatrici (Cristina, Paola, Tiziana, Orietta, Elena) che hanno abbracciato con entusiasmo l’iniziativa, senza badare ad orari o ad aggravi di lavoro. Ed è anche l’occasione per ringraziare il Ceis di don Alberto Canuzzi (rappresentato nella circostanza dallo psicologo Stefano Sensini), l’ex presidente della Provincia Marcello Meroi e il consigliere regionale Enrico Panunzi: “Due ideologie e due modi distanti di fare politica che si incontrati nel riconoscere all’interesse pubblico un valore etico e morale ne più alto degli steccati della politica che divide – scrive il dottor Starnini -.  Grazie infine agli uomini e alle donne dell’Uepe e del Ceis: sono stati i veri protagonisti. Con le loro storie travagliate, forse sbagliate, ma ricche di umanità. Sono loro che hanno costruito il progetto giorno dopo giorno. Punto di forza di una volontà di tornare ad essere parte integrante del nostro tessuto cittadino”.

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