03052024Headline:

La meglio gioventù si chiama Camilla

Una mitica Fiat 500 tra ricordi, emozioni, nostalgia e sedile... ribaltabile (quello destro)

Arnaldo Sassi a bordo della sua "nuova" Camilla

Arnaldo Sassi a bordo della sua “nuova” Camilla

“Perché non fai un pezzo su Camilla?” Il messaggio, tramite quello stramaledetto strumento digitale che si chiama Whatsapp (ogni epoca ha la sua croce), arriva dall’amico Nicola Savino. E io penso: ma cosa gliene può fregare alla gente dell’acquisto di una vecchia auto, fatto assolutamente privato? Poi però, ci rifletto per dieci secondi. E, dato che Camilla altro non è, se non una vecchissima Fiat 500 del 1973 scippata (si fa per dire) a un’anziana signora di Caprarola che me l’ha ceduta tra le lacrime, ho deciso di accontentare il direttore di Viterbopost. Giacché quei quattro ferri vecchi che ancora sono in grado di camminare (anzi, considerata l’età, si può dire che la scatolina marciante è in condizioni meravigliose) rappresentano molto più che una semplice auto.

Penso infatti di dire una cosa scontata e banale se affermo che la Fiat 500 (quella che negli anni ’50, ’60 e ’70 invase le strade italiane) ha caratterizzato un’epoca. Quella del boom economico, delle prime gite fuori porta, delle cambiali, delle giornate al mare con tanto di fagotti ammassati su quel fragile portapacchi che si poteva montare sopra il tettino. Ma non è né scontato, né banale il fatto che la Fiat 500 sia stata la mia prima auto (quella era di colore blu) e che abbia rappresentato una pietra miliare della mia gioventù.

Mi sedetti per la prima volta al volante nel 1971, quando da pochi mesi avevo preso la patente. Ma l’auto la usava mio padre, che ci andava a lavorare. Ed io ero costretto a elemosinarla nei fine settimana per andarci a fare un giretto con gli amici (quando a papà non girava storto). Si andava, per lo più, a Montefiascone, sulle rive del lago di Bolsena; o a quello di Vico, dopo aver infilato nel serbatoio le classiche mille lire di benzina, frutto della più classica delle collette (250 lire ciascuno se si era in quattro, ma anche solo 200 se ci si stipava in cinque, con i tre seduti nel sedile posteriore somiglianti a dei veri e propri insaccati). Ma guai a chiedergliela la sera, magari durante i sabati di Carnevale, per andare a ballare dall’Ada (balera che si trovava al decimo chilometro della Tuscanese), o addirittura dalla Zi’ Giulia (sempre sulla Tuscanese, alla periferia di Viterbo). “Di notte è pericoloso!” mi ripeteva mio padre, costringendomi a elemosinare un passaggio da qualche amico più grande e, in quel momento, più fortunato di me.

La svolta avvenne nell’autunno del 1972, quando cominciai a collaborare col Messaggero. A quel punto l’auto mi serviva anche per lavorare e così mio padre fece il salto di qualità: acquisto per lui una Fiat 127 e mi lasciò la Fiat 500 in eredità, ma con una condizione: alla benzina dovevo pensarci da solo. E, dal momento che i frutti di quel lavoro erano tutt’altro che pingui, ero sempre lì a fare i conti e ad osservare, con occhio atterrito, quella spia rossa che spesso, troppo spesso, si accendeva ricordandomi che la piccola aveva sete.

Nonostante tutto, credo in quegli anni di aver vissuto una vera e propria epopea e di aver corso anche qualche rischio, frutto dell’incoscienza giovanile e della voglia di provare il brivido (sic!!!) della velocità.camilla-3

Come ad esempio quando, di fronte a qualche fatto di cronaca eclatante accaduto di sera, bisognava portare a Roma, alla sede centrale del Messaggero, il rullino con le foto scattate, giacché la telefoto alla redazione di Viterbo era di là da venire. E allora via, con il cuore in gola e il piede destro tenuto a manetta sull’acceleratore, fino a via del Tritone. Perché bisognava far presto per rispettare i tempi del giornale e ogni minuto, in quel momento, era prezioso.

O come quando, nel 1978, fui trasferito alla redazione di Sulmona. Venivo a casa ogni due settimane, mangiandomi i 250 chilometri di distanza tra la cittadina abruzzese e Viterbo tutti d’un fiato, sfiorando la folle velocità di 90 chilometri l’ora e riuscendo a percorrerli in poco più di tre ore.

O come quando, con due amici incoscienti almeno quanto me, decidemmo di andare a fare una vacanza in Jugoslavia, imbarcandoci al porto di Pescara e percorrendo, in poco più di una settimana, più di mille chilometri.

Quella Fiat 500 fu mia fino al 1979 (poi la passai a mio fratello più piccolo) e devo dire che mi ha tradito pochissime volte, soprattutto a causa dello spinterogeno e di quelle dannate puntine. Che però avevo imparato a ripulire da solo: una bella sfregata con un cacciavite dopo aver smontato la calotta, e via come prima, col motore più rombante che mai. Solo una volta (ero andato a Pescara per spedire una telefoto e stavo tornando a Sulmona) si bloccò davanti alla stazione di Chieti verso le 11 di sera e non ne volle sapere di partire. Dovetti dormire in macchina a aspettare la mattina dopo per andare a cercare un elettrauto. Fortuna che era d’agosto.

Ma quella Fiat 500 fu importante per me anche per un altro motivo, inconfessabile. Mi iniziò all’amore. Quello fisico, s’intende. Perché in quel periodo si andava ancora a fratte con la morosa. Però, io avevo un problema: quell’auto non aveva i sedili ribaltabili e non potevo certo chiedere a mio padre (militare dalla testa ai piedi) di sostituirli. Venni però a sapere che un carrozziere di cui ero amico segava quelli esistenti e inseriva una molla per renderli tali. Ci andai e, sempre alle prese con la scarsezza di risorse economiche, me ne feci adattare uno solo, quello di destra. E dopo fu l’apoteosi.

Ricordi, emozioni, nostalgia. Per un passato che non c’è più, ma che ha rappresentato – per me, ma penso anche per tanti altri della mia età – una vera e propria scuola di vita. Da conservare come un piccolo tesoro, dentro uno scrigno.

Ecco perché ho deciso di acquistare Camilla. Ecco perché ho deciso di accettare la richiesta di Nicola Savino di scrivere questo articolo. Dedicato a quella meglio gioventù che – tra mille problemi e altrettante difficoltà – s’è costruita un mondo. Se migliore o peggiore di quelli precedenti è tutto da vedere.

Ps. Se qualcuno, particolarmente curioso, si fosse chiesto il perché di quel nomignolo alla gloriosa Fiat 500, la risposta è semplice. In quanto l’ispirazione è venuta rimembrando il Claudio Baglioni prima maniera, quello di Viva l’Inghilterra per intenderci. Anche se la sua Camilla era una Citroen due cavalli.

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