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Francesco Mattioli ci legge e commenta. Ecco il suo punto di vista sociologico.

Analisi pizzuta di Mattioli

di Andrea Stefano Marini Balestra

Viterbo 29.9.22- Un’analisi sociologica sul nostro articoletto: Coccia di morto 3 – Capalbio 0. Alla mia rozzezza, risponde e chiosa uno studioso.

Ecco quanto ci dice:

“Caro Stefano ,interessante il paragone calcistico…Te ne offro una interpretazione… sociologica.

Ai primi degli anni Novanta il politologo Francis Fukuyama elaborò il concetto della “fine delle ideologie”; constatava che, di fronte alla complessità e alla variabilità politica, economica e sociale della società industriale avanzata, una ideologia, cioè un complesso di valori e di credenze espresso da una specifica classe sociale, non aveva più molto senso.  Il fatto è che tutti i politologi e i sociologi degli ultimi cinquant’anni hanno certificato l’emergere di una enorme classe media, che se al suo interno presenta ovviamente forti disparità di reddito e di scolarizzazione, a seconda che si guardi al livello superiore o a quello inferiore, è accomunata dagli stessi stili di consumo, dalle stesse dinamiche relazionali, dallo stesso livello di achievement sociale, dagli stessi modelli di riferimento. Un po’ quel che succede nella moda: c’è chi acquista i jeans di Prada a 500 euro e chi quelli di Zara a 50, ma il modello è quello, nel disegno, nel colore, nelle false fessurazioni della stoffa, nelle false zone lise.

D’altronde, mentre l’intellighenzia di sinistra discettava sulla lotta all’autoritarismo dando fiducia – direi in modo sacrosanto – ai “sessantottini”, i padri operai che votavano PCI prendevano  a scapaccioni i figli che si facevano crescere i capelli lunghi ( i capelloni…) e le figlie che giravano in minigonna. Senza dimenticare che, come fece notare saggiamente Alain Touraine, durante le manifestazioni e i cortei dei giovani a Parigi nel famoso “maggio francese” del ’68, i sindacati operai si mossero per buoni ultimi, rispetto ai più avanzati knowlwdge makers dei settori produttivi più avanzati.

La sinistra italiana, lentamente ma progressivamente, si è divaricata su due direzioni diverse. Da un lato – e in forma minoritaria –  si è irrigidita su improponibili posizioni “comuniste” flirtando con i “compagni che sbagliano”, dall’altro – e più massicciamente – ha sposato l’atteggiamento politically correct dei progressisti californiani e newyorkesi, ben poco attenti – per tradizione americana – alla classe operaia e molto più versati sui “diritti civili” di stampo socioculturale.  Non è certo un caso che negli USA Trump abbia raccolto voti soprattutto negli stati operai e Bolsonaro in Brasile abbia potuto fra conto sul voto degli operai delle multinazionali che stavano distruggendo la foresta amazzonica, preoccupati del loro posto di lavoro.

C’è poi da dire che per passare dalla “lotta ai froci” (come si diceva ancora negli anni sessanta) alla tutela delle diversità di genere, del resto, ci vuole un salto di qualità intellettuale. Certamente favorito dalla scolarizzazione crescente, dai messaggi dei media, ma anche da un miglioramento complessivo delle condizioni socioeconomiche, che consente di andare oltre la cura dei propri bisogni primari. 

Ma agli inizi del nuovo secolo –  e millennio – l’umanità si è risvegliata da questa idea di facile progresso; a parte il terrorismo islamico, la crisi del 2008 – peggiore di quella già tragica del ’29 – , ma anche la delicata situazione internazionale, l’esplosione delle migrazioni (dovute alle guerre invisibili nei paesi poveri e al progressivo riscaldamento globale), e poi la pandemia hanno risvegliato la gente dal sogno.  Così quella gigantesca classe media si è improvvisamente scoperta più povera invece che più ricca, più eterogenea, più attenta a coltivare il proprio precario orticello che a maturare atteggiamenti pluralisti, ma anche più distratta dalle opportunità di un web che le poteva assicurare piccole soddisfazioni quotidiane: contando i like ottenuti su tik tok o instagram, sfogandosi come odiatori, esibendosi come mancati artisti dello spettacolo, persino vendendo cose senza dover aprire negozi e chiedere permessi alla burocrazia. Insomma più individualista, più incostante, certo delusa da una classe politica ancora incollata, almeno  a parole, alla propria ideologia. Si capiscono allora le ondate; prima quelle del berlusconismo, propostosi come efficiente azienda-Italia (capace di arrivare al 35-40%,oggi sotto il 10); poi quello di centrosinistra (anch’esso intorno al 40%, oggi dimezzato)  interpretato come apertura al nuovo e al recupero della marginalità in tutte le sue forme; poi ancora l’antipolitica del movimentismo online dei cinquestelle (passato in pochi anni da percentuali maggioritarie a piccolo gruppo chiuso e in cerca di una reale collocazione politica); poi oggi il rigorismo efficientista di Fratelli d’Italia, capace di cibarsi di quello a suo tempo vagheggiato da Forza Italia  e poi dalla Lega, oggi valletti minoritari del partito della Meloni. Che al di là di tanti proponimenti sulla parità di genere della sinistra, è stato il primo partito ad esprimere un leader, e presto un Presidente del Consiglio, donna.   E tuttavia, sia chiaro: per tanti motivi la politica rischia di vedersi oggi sull’altare  e domani nella polvere, e quindi di doversi fare necessariamente demagogica e populista se vuole restare ai vertici.  Non sarà secondario ricordare inoltre che c’è una sorta di partito, forte di almeno il 25-30%, che non vota, che si disinteressa, che esprime sfiducia verso la politica  o verso “questa” politica.

Demagogia, populismo, cattura del consenso facendo occhiolino ad un pubblico aduso all’ esibizionismo mediatico, comportamento elettorale ondivago. Tutte circostanze che di certo non favoriscono la democrazia. E’ di questo che occorre temere, da ovunque provenga.

Così il Cocciadimorto-Capalbio 3 a 0 rischia di essere una partita giocata in un campionato di provincia, o al massimo di serie B, con giocatori che entrano ed escono dal mercato a seconda di dove il porta il cuore, pardon l’euro, e dove le regole sono dettate altrove. C’era solo un giocatore di valore internazionale; lo hanno stato lasciato fuori rosa, squilibrava tutta la squadra, ogni squadra.

Francesco Mattioli”


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