26042024Headline:

Province, pronti alle dimissioni di massa

Senza soldi e certezze, presidenti decisi ad una clamorosa protesta

Graziano Delrio, da ministro ha firmato la riforma delle Province

Graziano Delrio, da ministro ha firmato la riforma delle Province

La parola giusta per definire l’attuale situazione è una sola: caos. Legislativo, economico, gestionale. Una confusione totale nella quale l’unica certezza è che la legge 56 del 2014 è già in vigore, ma assolutamente inapplicata. Già, le Province sono destinate a sparire, o meglio a trasformarsi in enti di secondo livello con un numero limitato di mansioni e senza costi aggiuntivi. Sulla carta tutto semplice e facile: in pratica impossibile da realizzare. Marcello Meroi, presidente della Provincia di Viterbo, è categorico: “Ribadisco che noi siamo in grado di pagare gli stipendi fino a marzo. Dopo non so che cosa potrà succedere”. La questione è stata già affrontata e sviscerata circa un mese fa proprio a Palazzo Gentili, ma da allora le cose non sono affatto cambiate. Anzi, se è possibile, peggiorate.

Il fatto è che sempre quella famosa legge stabilisce che alle province resteranno 4 funzioni (ambiente, edilizia scolastica, viabilità e mobilità), il resto passerà alle Regioni che avrebbero dovuto entro ottobre scorso deliberare i criteri per l’acquisizione delle altre competenze e del relativo personale. Chi lo ha fatto? Nessuno. Di qualunque colorazione politica. E perché? Senza soldi e soprattutto senza certezze, nessuno vuole caricarsi di un problema enorme, visto che riguarda in tutta Italia 19.800 lavoratori. Tanti sono infatti i dipendenti destinati alla mobilità, cioè al passaggio dalla provincia alla regione. Sapete qual è la somma disponibile per questa operazione? Sessanta milioni di euro, cioè 3 milioni in media a regione. Tanto per farsi un’idea, soltanto i dipendenti di Palazzo Gentili costano ogni anno più di 9 milioni. Insomma la cifra stanziata è poco più di una goccia nell’oceano. Inoltre, entro il 30 marzo, le province sono tenute a presentare gli elenchi con i nomi di chi rimane e di chi invece va da un’altra parte. Impresa impossibile senza un quadro di riferimento certo e soggetta non ai voleri delle singole regioni, ma alla legge nazionale che regola i rapporti di lavoro nella pubblica amministrazione. Inutile aggiungere che anche i servizi erogati sono a forte rischio vista l’assoluta mancanza di risorse.Un autentico ginepraio dal quale uscire sarà impresa titanica.

E così, di fronte ad un vuoto legislativo evidente, dire che le cose vanno a rilento è solo un cortese eufemismo. Sette regioni (su 20) hanno approntato un disegno di legge: un atto di indirizzo, insomma, che abbisogna di tempi lunghi prima di essere approvato. Nel Lazio se ne comincerà a parlare lunedì prossimo. Intanto il tempo passa e le “cambiali” vanno in scadenza. Mercoledì 28 gennaio è fissata l’assemblea generale dell’Upi (Unione delle province italiane) dove i nodi non solo verranno al pettine, ma dove si profila una decisione clamorosa: dimissioni in massa di tutti i presidenti (sia i nuovi eletti che quelli ancora in carica con il vecchio sistema). Una protesta trasversale e generalizzata che unisce tutti indistintamente.

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