07052024Headline:

La tripletta secondo Matteo

L'elezione di Mattarella e i tre obiettivi centrati da Renzi

Il presidente del Consiglio  Matteo Renzi

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi

Tre giorni e quattro votazioni per fare un presidente della Repubblica, per eleggerlo con 665 voti, praticamente due terzi del cucuzzaro. Già così il voto al Matteo Renzi segretario del Pd sarebbe un 9.5, specie se paragonato al comportamento del suo predecessore Pierluigi Bersani, che nelle stesse circostanze (e con lo stesso Parlamento) nel 2013 si meritò un generoso voto 1. Ma oltre al bersaglio grosso, Renzi ha pure centrato un altro paio di obiettivi neanche troppo secondari.

Intanto, l’annichilimento di Berlusconi, totale, su tutta la linea, come quelle belle operazioni di guerra di una volta, alla Wellington (voto 9), alla MacArthur (voto 8). L’ex Cav. ha abboccato al tranello teso da Matteo con un’ingenuità disarmante, neanche immaginabile rispetto al Berlusconi dei bei tempi. Si è fidato, convincendosi che il patto del Nazareno fosse la sua assicurazione sulla vita, credendo più alle ricostruzioni giornalisitiche che alla crudeltà della politica politicata, ed è stato fregato. Alla grandissima. Chissà cosa penserà, di questo errore fatale, Bettino Craxi (voto 6) da lassù, dal Paradiso dei socialisti, profumato di garofani e inebriante come un amaro Ramazzotti. Era stato proprio Craxi, d’altronde, a codificare i rischi del mestiere con la mortale battuta – riferita ad Andreotti, voto 7 – di “tutte le volpi che prima poi finiscono in pellicceria”. E la volpe del giorno, siori e siore, si chiama proprio Silvio.

Angelino Alfano

Angelino Alfano

Molto meno volpino è Angelino Alfano, voto 3, che invece di rimanere fregato ha accettato – o ha dovuto accettare – di votare il candidato individuato da Renzi, cioè Sergio Mattarella. E al di là delle giustificazioni di facciata (“Un ministro dell’Interno non può non votare il presidente della Repubblica scelto dal premier”, “Non potevamo lasciare l’elezione solo nelle mani della sinistra”), resta la convinzione che Angelino abbia preferito restare aggrappato al Governo, garantendo per ora l’esistenza della sua brigata di ministri e sottosegretari, e rimandando ad un futuro remoto eventuali altre scelte. Col risultato, però, di giocarsi definitivamente la poca credibilità di cui ancora godeva presso l’elettorato di centrodestra. Una mossa, insomma, per la sopravvivenza immediata ma per l’estinzione futura del Nuovo Centrodestra, o di come cavolo si chiama oggi.

Terzo e ultimo obiettivo conquistato dallo spietato, cinico e concretissimo condottiero fiorentino: aver ricompattato il Partito democratico. Quell’accozzaglia di umori che appena pochi giorni fa s’azzuffava allegramente – o così pareva – intorno all’approvazione della legge elettorale, dell’Italicum (voto 1, a chi sceglie ‘sti nomi). Una vittoria, quest’ultima, che però non deve essere definitiva, considerate le turbolenze e le instabilità del terreno dem. Ma questo Renzi lo sa benissimo, come sa benissimo di non poter mai essere il segretario di tutti, e che qualcuno cercherà sempre di fotterlo, basta una minima distrazione, come in una metropolitana affollata di mani morte. Specie ora, che si trova capo di tre maggioranze diverse: nel partito insieme ai trinariciuti, al Governo, con gli angelini, e per le riforme, coi berluscones. Giochi di equilibrismo che farebbero impallidire persino i grandi statisti della Prima Repubblica. In bocca al lupo, e per adesso voto 9.5.

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