Sin dal momento in cui ha cominciato a coltivare le piante, l’uomo ha dovuto fare i conti, non solo con le avversità climatiche (siccità, grandine, gelate, alluvioni), ma anche con i danni causati da insetti dannosi e da patogeni microscopici (funghi, batteri) o submicroscopici (virus). In presenza di un attacco parassitario, notevole può essere la riduzione delle produzioni agricole. Si può arrivare addirittura a vedere distrutto l’intero raccolto con conseguenze terribili (carestia, fame, malattie per denutrizione, morte, migrazioni). Sin dall’antichità l’uomo ha cercato di difendere le piante che coltivava dalle avversità. Poiché le responsabilità venivano attribuite all’azione degli astri e all’intervento delle divinità, i rimedi adottati si basavano inizialmente sulla modificazione della tecnica colturale (al fine di sfuggire alle situazioni astrologiche sfavorevoli) ed a pratiche di ispirazione magica e religiosa.
Dobbiamo arrivare al XIX secolo per poter parlare di un approccio scientifico alla difesa delle colture dai parassiti. Oggi diverse sono le tecniche, preventive e/o curative, che possono essere impiegate: tecniche agronomico-colturali, impiego di varietà resistenti, impiego di insetti o microrganismi antagonisti, metodi fisici e utilizzo di antiparassitari. Gli antiparassitari sono molecole chimiche in grado di interferire con alcuni processi metabolici degli organismi dannosi per le piante provocandone la morte o, comunque, rendendoli inattivi. Fino alla prima metà del secolo scorso venivano usati antiparassitari naturali (minerali o organici), essenzialmente capaci di prevenire le malattie ma non di curarle. Tra gli anni sessanta e settanta c’è stato il boom degli antiparassitari di sintesi, cioè di molecole chimiche sintetizzate in laboratorio. Essendo queste quasi sempre più attive dei prodotti chimici fino ad allora conosciuti e molte di esse potevano essere usate per curare le piante, si era diffusa dovunque una grande euforia. Era una conquista così strabiliante che ci ha impedito di pensare per lungo tempo ai rischi che potevano derivare dalla immissione in natura di queste molecole sintetiche, prodotte dall’uomo e per le quali non erano presenti in natura le chiavi biologiche (enzimi) della loro degradazione.
C’è stato così un uso talmente indiscriminato e spropositato da causare seri problemi di inquinamento delle colture e dell’ambiente, con ricadute gravi sulla salute dell’uomo: presenza e persistenza di residui chimici nel suolo e nelle acque; presenza di residui chimici nelle derrate alimentari; sviluppo di resistenze nei parassiti; uccisioni di insetti utili (antagonisti, impollinatori, ecc…); comparsa di malattie acute e/o croniche nell’uomo. Oggi si impiegano agrofarmaci sempre meno inquinanti e pericolosi. Inoltre, una sempre più crescente domanda di salute, di ambiente salubre e di alimentazione sicura sta contribuendo allo sviluppo di una produzione agricola ecosostenibile: non inquinata e non inquinante. Ricca è la normativa italiana che regola l’uso degli antiparassitari in agricoltura con l’obiettivo di ridurre al minimo i rischi connessi al loro impiego. Si parte dal DPR n.1255 del 3 agosto 1968, che regolamenta la pericolosità degli antiparassitari, fino al recente Decreto Legislativo n.150 del 14 agosto 2012 (Recepimento della Direttiva CE 2009/128 sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari). Notevole è l’impegno richiesto alle case produttrici di fitofarmaci e agli agricoltori per raggiungere questo obiettivo, ma solo con uno sforzo congiunto di tutti i soggetti interessati potremo lasciare ai nostri figli, alle generazioni future un mondo pulito, un mondo non irrimediabilmente inquinato.