No, tranquilli. L’aeroporto di Viterbo non è morto: è vivo e vegeto, solo che non lotta più insieme a noi. Negli ultimi sette anni è stato chiamato in causa tante, troppe volte, e spesso a sproposito (gli hanno persino dedicato un ristorante). Come se non bastasse, appena qualche giorno fa ha dovuto ingoiare l’umiliazione di venire cancellato dal piano di ristrutturazione nazionale. Insomma, un periodaccio, tanto che il nostro ha deciso di sparire per un po’ dalla circolazione. Irraggiungibile per tutti, non per viterbopost.it, che è riuscito a scovarlo e a porgergli qualche domanda. In esclusiva.
Signor aeroporto di Viterbo, è proprio lei?
“In carne e terminal. Ma la prego, non si dimentichi le lettere maiuscole”.
Signor Aeroporto di Viterbo, così va meglio?
“Grazie. Sa, ci tengo molto”.
Come desidera. A proposito, dove si trova ora?
“Le dico solo questo: sole, mare, rhum, e certi tanga che mamma mia…”
Brasile?
“Meglio: sono a Santo Domingo, a vivere la vida loca“.
Alla faccia nostra.
“Non ce la facevo più. Avevo bisogno di staccare, anzi di decollare”.
Troppo depresso dopo la batosta della cancellazione?
“Macché. Anzi, sono rinato. Sapere che non mi avrebbero mai costruito, saperlo anche ufficialmente voglio dire, visto che a livello informale e personale ero sicuro che finisse così, è stata una liberazione”.
Ma come? L’avrebbero piazzata lì, a ridosso della Tuscanese, con una bella pista lunga e moderna, e poi il terminal, gli uffici, i negozi, i bar… Un Aeroporto di Viterbo moderno e serio.
“Tutte balle. E mi stupisco di voi, che dovreste essere giornalisti e che invece fate i boccaloni. Da anni”.
Che fa, offende?
“No. Però dico che troppa gente ha creduto a questa frottola. D’altronde, non siete voi la città della Chimera?”
No. Quella è Arezzo, ‘gnorante.
“Chiedo venia. Ho fatto fino alla seconda media”.
Diceva della frottola.
“Già, grossa come un Boeing 747”.
Perché? Furono anche firmati degli accordi ufficiali.
“Me lo ricordo. Con quel ministro che assomigliava a uno dei Matia Bazar, com’è che si chiamava?”.
Bianchi. Alessandro Bianchi.
“E c’era anche Marrazzo, ho detto tutto. E poi, dopo, col ministro Matteoli, la Polverini e vai a capire quanti altri che sono passati da ‘ste parti a riempirsi la bocca del mio nome”.
Vabbe’, ma i politici hanno sempre cavalcato l’onda, non è una novità…
“Sì, a loro piace il vento in poppa, l’ala gonfia. Qualcuno ha persino fondato un partito su di me, e senza nemmeno pagarmi il copyright”.
E c’è stato anche un assessore all’aeroporto.
“Come se a Barcellona facessero un assessore agli orsi polari”.
Però se parla così lei rischia di passare per populista peggio di quelli che accusa.
“Ma de che? Io faccio tre domande e basta. La prima: c’erano dei soldi per realizzzarmi?”
A occhio, in Italia non ci sono soldi mai per niente. A parte per le autoblu, sia chiaro.
“Si è risposto da solo. Seconda domanda: siamo sicuri che i viterbesi mi avrebbero voluto?”
Lei che dice?
“Sono convinto che la maggioranza non mi voleva. Inquino troppo. Creo troppo traffico, troppo rumore, troppa internazionalità: tutte cose che i viterbesi non vogliono, altrimenti sarebbero andati a vivere a Roma da un pezzo, no? E poi, a chi interessa essere collegati sette giorni su sette con Turku, o con Brno?”.
Avanti con la terza domanda.
“Gli aerei? Le rotte? I trasferimenti? Manca la sostanza, gente. Rischiavo di diventare un aeroporto fantasma, una cattedrale nel deserto”.
Ma come? Se lei doveva diventare il secondo scalo di Roma…
“Fregnacce. Ryanair non lascerà mai Ciampino, unico aeroporto a dieci chilometri dal centro su cui può contare., E Fiumicino è in espansione, mica in crisi. E poi, da Viterbo come ci arrivi nella Capitale? Col teletrasporto di Star Trek?”.
Avrebbero costruito strade e ampliato le ferrovie…
“Questa è talmente buona che se la può rivendere a Corrado Guzzanti”.
E coi posti di lavoro come la mettiamo?
“Intanto, non è che si può giustificare qualsiasi nuova grande opera con la creazione dei posti di lavoro: perché non facciamo la Muraglia cinese, allora? Sai quanti operai, ingegneri e architetti assumeremmo?”
Disfattista. E cinico.
“Forse. Ma poi, se a lavorare da me fossero finiti i soliti amici e amici degli amici, e clienti e clienti dei clienti? Quanto il cacchio”.
Non faccia il volgare, adesso. Sta sempre in vacanza…
“E me la godo. E ci resto pure per sempre, tanto ormai è andata, la minaccia è sventata, le promesse sono evaporate come qui evapora il ghiaccio nel mio drink…”
Il sindaco Marini ha detto che l’aeroporto si farà lo stesso. Che ce lo costruiremo da soli.
“Be’, allora può cominciare a scavare. Io mi faccio un altro rhum, nell’attesa. Hasta la vista”.
Hasta a lei.
Una grande opera si può fare o non fare (io come moltissimi viterbesi vorrei che questa si facesse), ma la cosa intollerabile non è il fatto di farla (per chi è contrario) oppure di non farla (per chi è favorevole). La cosa intollerabile è la continua estenuante altalena di sì e no, che ci mette in ridicolo come incapaci cronici di fronte al mondo intero – e intanto, altalenando altalenando, pacchi di soldi volano al posto degli aerei, e atterrano non si sa dove ma sempre nelle solite tasche.