Con la “strategia di Lisbona” l’Europa si era data un obiettivo principale: diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro all’insegna di una maggiore coesione sociale.
Da qui il nostro Paese deve ripartire. Da qui il Partito democratico deve cominciare questa esperienza di Governo del Paese se, come sostiene sulla carta d’intenti, vuole realizzare un’Italia Giusta. Tutto deve partire dalla conoscenza, dal sapere e quindi da un investimento forte sull’istruzione. Un investimento sollecito che sia in chiara controtendenza con l’operato degli ultimi governi. Una crescita economica basata sulla conoscenza, intesa come fattore di ricchezza, vuol dire innanzi tutto potenziamento del settore dell’istruzione per aumentare la produttività, sostenere le categorie vulnerabili e lottare contro la disuguaglianza e la povertà. Il cosiddetto “investimento immateriale” , indicatore di quanto uno stato investe nelle capacità intellettuali e professionali degli individui includendo anche la spesa per R&s ( software ed educazione superiore), in Italia è assolutamente inadeguato e non competitivo.
La cosa che sconvolge è che da tutti i governi che si sono susseguiti, arrivando all’apoteosi del governo Berlusconi, la scuola è stata percepita solo come un centro di costo e fatta oggetto di continui tagli lineari per far quadrare i conti come fosse un settore qualsiasi. Ma se pure le democrazie meno evolute hanno capito che nel mondo produttivo moderno e in perenne evoluzione l’unico modo per sopravvivere è puntare sulla conoscenza, sulla formazione permanente e quindi sull’investimento sul capitale umano, non si spiega perché in Italia questo non solo non avvenga ma perché le ricette giuste restino sempre pura teoria.
I nostri ragazzi devono avere la possibilità di formarsi in maniera adeguata per poter competere con i loro coetanei del mondo. Investire sul capitale umano è il primo passo da compiere per avviare quel circuito virtuoso “innovazione, crescita economica, occupazione” che sta alla base dello sviluppo di una società responsabile e proiettata verso il futuro. Da questo il Pd deve partire con i fatti. Non consentendo a niente e a nessuno di frapporsi tra il governo del Paese e il perseguimento del bene comune. Si deve immediatamente portare l’investimento nella scuola al passo di quello dei Paesi OCSE. E da lì ragionare sulle diverse priorità. Personalmente ritengo che si dovrebbe concretizzare un piano straordinario per una scuola di qualità nella fascia tra 0 e 6 anni. Il programma del Partito Democratico ne parla ma è necessario che il Pd si renda protagonista concreto e credibile di questa battaglia di civiltà per realizzarlo.
Ripartiamo dai piccolissimi per cambiare questa società. L’asilo nido non può essere un servizio a domanda individuale ma deve diventare un diritto educativo. La scuola dell’infanzia deve essere assicurata a tutti invece le liste di attesa si allungano sempre di più. I nostri figli devono combattere contro una disuguaglianza formativa non solo rispetto agli altri paesi del mondo ma anche tra le diverse regioni di Italia. Non mi rassegno a pensare che chi nasce in un determinato territorio sia favorito o sfavorito rispetto alla vita formativa e quindi alla qualità della sua vita secondo i casi solo perché la politica della prima e seconda repubblica ha gestito la Cosa Pubblica allegramente e con superficialità. In questo senso oltre agli investimenti che si devono fare nel settore serve la capacità di concepire la politica che deve superare un altro tipico dogma, tutto italiano, la logica del campanile.
Il nostro sistema scolastico ha garantito la scuola primaria in maniera capillare su tutto il territorio nazionale. In questa ottica le scuole di campagna o quelle di montagna sono state importantissime per favorire l’alfabetizzazione dopo la seconda guerra mondiale. Oggi i nostri giovani non hanno bisogno solo di alfabetizzarsi hanno bisogno di specializzarsi ed essere pronti per un mondo oltremodo competitivo. Pertanto agitarsi sul mantenere o meno la scuola elementare nei comuni piccolissimi solo per dire che la scuola insieme all’ufficio postale fanno il paese, non ha più senso. L’Europa ci dice di andare oltre allargando i nostri confini e concependo tutti i servizi in maniera condivisa, consorziata, per avere più efficienza e meno spesa. Questo va fatto.
I tre pilastri su cui si regge oppure sprofonda il Paese, sono la Famiglia, l’ Istruzione, il Lavoro. Stiamo appunto sprofondando, perché tutti e tre sono da decenni trattati in maniera assolutamente infame, e ormai prossimi alla distruzione.