Sulle primarie s’è incartato il Pd. E si deve essere incartato di brutto se ieri sera, dopo quasi quattro ore di discussione, gli organi provinciali del partito sono stati costretti a salutarsi senza aver preso una qualsiasi decisione, aggiornandosi a oggi pomeriggio.
Materia del contendere, come è noto, è la data delle primarie, che un pezzo di partito vorrebbe rinviare al prossimo 7 aprile, ufficialmente per farle coincidere con quelle per designare il candidato del centrosinistra al Campidoglio. Ufficiosamente però, il motivo è ben altro e riguarda la riottosità di Leonardo Michelini a sottoporsi al test elettorale. Il presidente Coldiretti infatti, dopo aver fondato un suo movimento, chiamato “Oltre le mura”, non intenderebbe partecipare a una competizione targata Pd e Sel, ma a una consultazione più ampia, nella quale possano dire la loro anche pezzi del centrodestra (Nando Gigli, tanto per fare un esempio, ha già fatto sapere che intende appoggiarlo).
Il problema è che, se da un lato i micheliniani spingono per il rinvio, anche per dar modo al loro candidato di raccogliere le firme (cosa che non ha ancora fatto, anche se la scadenza per la presentazione è stata fissata a domani), dall’altro tutti gli altri candidati storcono il naso e qualcuno di loro (leggi Francesco Serra, ma anche quelli di Sel) non intende sentire ragioni, teorizzando che non si possono cambiare le regole in corsa. “Se non vogliono fare le primarie – diceva ieri pomeriggio un sostenitore del cardiologo di Belcolle – giuro che ce le organizziamo da soli. Prendiamo tre gazebo, stampiamo un po’ di schede e poi facciamo votare tutti, senza candidature preventive. Ognuno che viene potrà votare chi vuole, anche il vicino di casa. Ma le primarie vanno fatte. Ad ogni costo”.
Ovviamente i vertici del partito tendono a gettare acqua sul fuoco, ma la tensione è altissima. “Stiamo discutendo – ha detto ieri sera il segretario cittadino Alvaro Ricci – e domani prenderemo sicuramente una decisione”.
Già, il problema è quello di prendere una decisione che, pur non accontentando tutti, non spacchi comunque il partito. Una conseguenza che questo Pd, con i grillini che anche nella Tuscia hanno mietuto voti, non può proprio permettersi.