Stima, fedeltà e amicizia. Sentimenti talmente forti (e sì, puri) da resistere agli anni e alle legislature, alle tangentopoli e ai muri berlinesi che venivano giù. Da ieri Rodolfo Gigli, detto Nando, è un po’ più solo, perché ha perso il suo compagno di viaggio, il suo maestro, il suo punto di riferimento. Eppure, quello che a Viterbo chiamano Babbo, non cede alla commozione nel ricordo di Giulio Andreotti. Ma rielabora con lucidità quello che ha rappresentato quest’uomo nella storia del Paese: “La sua storia coincide con quella dell’Italia repubblicana, e degli italiani – dice l’ex presidente della Regione, ex parlamentare, ex sindaco di Viterbo e tante altre cariche, tutte sotto lo scudo crociato della Democrazia cristiana – Questo resta, al di là dei giudizi personali e politici. E’ una perdita enorme per il Paese, una perdita che temo accuseremo. Soprattutto in un momento delicato come questo, ci mancherà il suo profondo senso dello Stato, la sua lucidità, la sua freddezza anche quando bisognava prendere decisioni difficili. Il suo carisma. Ecco, se devo riassumere tutte le doti del presidente, dico che era un individuo a sangue freddo, nel senso migliore del termine, perché anteponeva sempre il Bene dell’Italia e degli italiani e non lo perdeva mai di vista”.
Poi ci sono i ricordi privati, che Gigli magari preferisce tenere per sé ma che affondano fino alle radici della sua avventura politica. Tanti anni fa. “Il mio percorso è iniziato con lui e non si è mai diviso. Ricordo le campagne elettorali, parecchia campagne elettorali. Quella da consigliere regionale, in particolare, con Andreotti che rimase tre giorni a Viterbo per sostenermi. Qui tornava sempre con piacere, aveva tanti amici anche al di fuori del partito: inutile dire che le sue battute fulminanti, salaci e sagaci, non mancavano mai. Era un onore ascoltarlo e godere della sua arguzia”.
Andreotti ironico, Andreotti carismatico, Andreotti uomo dello Stato e delle istituzioni, laddove anche le cose si mischiavano fino a confondersi. Ecco perché Gigli non l’ha mai tradito, anche in quell’anno 1992, poco prima del diluvio che portò alla scomparsa della Dc, almeno nella forma allora conosciuta. “Cosa successe nel ‘92? Be’, Vittorio Sbardella (detto lo Squalo, e non perché sapeva nuotare bene, uno dei ras democristiani del Lazio, ndr) decise di fondare una sua corrente e di uscire da quella andreottiana. Io cercai di convincerlo, per mesi, a trovare un accordo, a non fare quel passo. Ero presidente della Regione, e dissi a Sbardella che non lo avrei seguito e sarei rimasto con Andreotti. Sapevo benissimo che quella scelta, anzi quella non-scelta, mi sarebbe costata la presidenza, ma la coerenza veniva prima di tutto. E Sbardella, candidamente, mi preannunciò le conseguenze: ‘non posso tollerare che alla guida di un ente così importante non ci sia un mio uomo”, disse. Erano altri tempi, altra politica”. E infatti al posto di Gigli alla Pisana arrivò Giorgio Pasetto. Restò solo il bel gesto, un gesto di fedeltà, di stima e alla fine anche di amicizia nei confronti del Divo, che da oggi ha lasciato un po’ più solo il suo vecchio figlioccio viterbese.
Un senso dello Stato ben presente ai familiari dell’avvocato Ambrosoli.