Ho letto con molta preoccupazione le grida di allarme che si vanno levando sulla drammatica emergenza che si è determinata per le attività balneari e turistiche del lago di Bolsena a causa dell’eccezionale aumento del livello delle acque. La preoccupazione non deriva soltanto dalla gravità della situazione in sé, che giustifica senz’altro le denunce accorate e la richiesta di provvedimenti da attuare con urgenza, se non si vuole dare il colpo di grazia ad un settore come quello turistico che vive del lago e della possibilità di una sua efficace e corretta fruizione.
C’è una preoccupazione più di fondo, che nasce dalla constatazione di come queste grida di allarme ricorrano nel tempo, con una frequenza e un’intensità che sembrano dipendere esclusivamente dall’andamento delle condizioni meteorologiche (e in qualche caso dalla composizione politica degli organi istituzionali da prendere di mira, in quanto individuati come quelli che dovrebbero, volta per volta, averne la responsabilità, anche se sono lì solo da qualche settimana).
Quello che poi sconcerta i semplici cittadini è il fatto che tali denunce appaiono destinate dopo un po’ a lasciare il campo ad altre di segno opposto (un livello del lago troppo basso), secondo un modo di procedere nel quale sembra assente ogni prospettiva di soluzione razionale e di lungo periodo. L’impressione è che, in un ordinamento politico-istituzionale come il nostro, la gestione di un sistema (certamente complesso) come un lago non si possa affrontare con il metodo della scienza e della programmazione, mettendo a frutto gli studi scientifici realizzati ed eventualmente perfezionandoli.
Nel caso del bilancio idrico del lago di Bolsena, risulta incomprensibile che a tutt’oggi risultino completamente disattese da parte dell’Ardis le indicazioni risultanti dagli studi dell’università di Roma Tre, Dipartimento di scienze dell’ingegneria civile, poi confluite nelle “misure di conservazione” del “piano di gestione della Zps/Sic lago di Bolsena”, commissionato alcuni anni fa dalla Provincia all’Università della Tuscia. Sarebbe auspicabile che le indicazioni contenute in quel lavoro – che a giudizio delle prestigiose istituzioni scientifiche che hanno contribuito a redigerlo rappresenta la “migliore mediazione possibile tra stato di fatto, esigenze antropiche ed esigenze ecosistemiche”– trovassero attuazione concreta.
E che la responsabilità della gestione del bacino del lago facesse finalmente capo a un unico soggetto, presente sul territorio e titolare di una governance comune e integrata, secondo un’ottica da tanto tempo auspicata e che ora sta diventando sempre più urgente, se si vogliono affrontare efficacemente, oltre a questa, tutte le altre problematiche del lago (dalla salvaguardia alla valorizzazione turistica).