Adesso che la questione è risolta, che il calcio a Viterbo ha trovato un nuovo padrone, un punto di riferimento, un interlocutore solido & vincente, si può tirare un sospiro di sollievo. E accendere un cero a Santa Rosa, affinché certe cose non si verifichino più, mai più. Quali cose? Be’, il suggerimento arriva dallo stesso Comandante, che butta là una frase che è una coltellata, almeno per qualcuno: “Tra le altre cose, io voglio cancellare la commistione tra politica e calcio, che negli ultimi anni ha interessato Viterbo e i viterbesi. Un vero e proprio mercimonio”. E schifoso, ci permettiamo di aggiungere qui.
Già, la commistione tra politica e pallone, due passioni, due vizi, prettamente italici, che si sublimano in un unico fluido mortale, alla blob. Una melassa di impicci e di scambi che manco a Porta Portese la domenica mattina. Con la differenza che magari da quelle parti, a volte, con un pizzico di fortuna, qualche buon affare si riesce a fare. Qui, invece, nel sublime giuoco della pedata, di solito si gioca a perdere. E di esempi da citare ce ne sarebbero a iosa, restando solo nello zoo gialloblu.
C’era per esempio Luciano Gaucci che voleva costruire un ippodromo al Poggino, idea già di per sé surreale, alla Febbre da Cavallo. Aveva i suoi amichetti, Lucianone, che lo spinsero a prendere la Viterbese e in cambio qualcosa poi sarebbe arrivato. Non arrivò nulla, tantomeno l’ippodromo, e Lucianone migrò verso altri lidi, Catania e San Benedetto del Tronto. Se li abbia ottenuto ciò che chiedeva, be’, non è dato sapere. Ma almeno, rimafose con l’ajetto, Gaucci portò la Viterbese lassù, dove osano le aquile. Gli altri, la maggior parte dei suoi successori, non ebbe la stessa sfortuna. C’era chi chiedeva appalti per le mense, chi intrallazzava coi rifiuti, chi di qua e chi di là. Poi, naturalmente, una lunga sfilza di raccomandati dalla politica, una razza particolarmente diffusa in questo stato libero di Bananas. Si tratta di quelli messi a gestire la Viterbese – che è, in teoria, una società a responsabilità limitata – per “meriti politici”, qualsiasi cosa voglia dire. Gente che deve stare lì perché deve stare lì. Che poi magari sarà un bravo manager, un bravo imprenditore, ma questo conta relativamente: ciò che conta, piuttosto, è la bandiera che si porta, mica un gagliardetto calcistico, ma una bandiera politica.
E così, nel corso degli anni, le stanze della Viterbese hanno ospitato tutta una serie di individui che hanno pensato più ad occupare militarmente la poltrona, a marcare il territorio, piuttosto che allo sviluppo del progetto calcistico, al suo successo, alla sua solidità economica. Si sono accumulati debiti, così come si sono perse le partite e i campionati, senza preoccuparsene neanche un po’. Perché tanto la società sarebbe passata di mano ad altri, la politica avrebbe dato una mano ad insabbiare, e i tifosi avrebbero continuato a soffrire, ma chissenefrega. Emblematico il caso delle bollette dell’acqua non pagate, o pagate con una certa disinvoltura, diciamo, tanto poi arrivava sempre la parolina del politico amico che ci metteva la pezza.
“Adesso basta – tuona Camilli – Io ho le mie idee, quando vado a votare voto per chi mi pare, ma il calcio è un’altra cosa”. Un’altra affermazione che sarebbe normale e logica ovunque, ma che qui suona come aliena. Perché a Viterbo mai c’è stato un presidente disinteressato, un Padrone del Vapore duro e puro. L’ultimo forse è stato Enrico Rocchi, che Giove Palla lo benedica, uno che infatti per la Viterbese ci si è anche mezzo rovinato. Viene in mente anche un’altra figura che non c’è più, e cioè Carlo Maria Cardoni, il grande Carlo Maria Cardoni: colui che, almeno in un paio di occasioni e sempre disinteressatamente, ha salvato la baracca, facendo le cose per bene e con lucidità e senza chiedere niente in cambio. Poi è stato il nulla, le mezze figure, gli amici degli amici, o peggio i banditi puri, arrivati da fuori per fare soltanto bottino, tabula rosa, e poi sparire verso altri lidi, altri polli da spennare.
Camilli rappresenta il punto di svolta a questa situazione, e c’è da sperarlo davvero. Lo si intuisce dalle sue parole, e anche dall’approccio che ha avuto con il sindaco Leonardo Michelini. In questi primi felici contatti, non era certo il colore politico ad accumunare i due personaggi (che anzi la pensano in modo molto diverso). Semmai la serietà, la passione, l’interesse affinché il calcio cittadino imbocchi la strada giusta. E così sia.