05112024Headline:

Così arrivò la plastica in Maremma

plastica“Dalle brocche di rame all’improvviso si passò ai secchi di plastica. Noi, ‘un mi ricordo di preciso quando si comprarono, mi ricordo però che ‘n bel giorno la mi’ mamma mi mise ‘n mano du’ secchini bianchi bianchi. Portà l’acqua diventò meno faticoso…”.

E’ l’incipit del delizioso libricino (anche dal punto di vista grafico e del confezionamento a stampa) “Tre pezzi 100 lire. Un racconto sull’avvento della plastica in Maremma” di Luciana Bellini (editori Effegi, pp-56, euro 10), introduzione e cura di Antonello Ricci,  con un glossarietto ad uso del lettore non-maremmano  e un “ritrattino” in prosa dell’autrice curato di Corrado Barontini.

Più che un racconto sembra una come favola, anzi come avverte Antonello Ricci nell’esergo impresso nella quarta di copertina, una “fiaba dolorosa” dovuta alla modernità, “una terra promessa che si manifesta agli uomini come ‘inganno’ di un dio ambiguo”.

La modernità che penetra in una paesino della bassa Toscana, Scansano (patria dell’omonimo vino Morellino) a un tiro di schioppo da Manciano e dalla linea di confine con la provincia di Viterbo segnata dalla Selva del Lamone, dove l’autrice è nata nel 1947.

Scrittrice autodidatta, scoperta alla fine degli anni Novanta da Marcello Baraghini, il genio dei libri Millelire lanciati con la sua Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri. Un rapporto profondo, tra i due, che consente di sfornare vari volumi quali “Il mestiere finito”, “Racconti raccontati”, “Detti e ridetti. Grammatica popolare”, “La Capitana. Vita di mezzadri in Maremma” etc.

Colpisce della Bellini la scrittura che, come si evince dalle poche righe citate in apertura, si addensa su un ritmo per così dire orale, non disdegnando il parlato quotidiano e familiare, con genuino accento toscano.

Non casualmente Antonello Ricci annota che “questo racconto breve breve, nonostante le smagliature di una sentenziosità a volte troppo esplicita-marcata; nonostante le parvenze, ormai consuete, di una scrittura che sembra pura e semplice stenografia in presa diretta della vita; nonostante la variopinta pittoresca giungla ortografica e di punteggiatura sempre all’inseguimento di una parola scritta che sappia transustanziarsi, finalmente!, è illuminato dall’incanto dolce dolente arcano tipico della fiaba”

 

 

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