19042024Headline:

“Il benessere ci ha portato a questo punto”

don Alberto Canuzzi

don Alberto Canuzzi

Lampedusa, il giovedì tragico di Lampedusa. I corpi dei migranti in fondo al mare, tanti, e quelli in salvo per un colpo di fortuna. E poi il lutto nazionale, le bandiere a mezz’asta, il papa che da Assisi dice che è una giornata di pianto. Uno dei giorni più tristi nella storia non d’Italia, ma d’Europa, e dell’intero Occidente, “perché tutti quanti abbiamo puntato solo sul benessere materiale”, dice don Alberto Canuzzi. E insomma, siamo tutti sulla stessa barca, quella che per restare a galla fa affondare – più o meno indirettamente – le altre.
Don Alberto è un prete di prima linea, da sempre. Col suo Ceis, a La Quercia, salva da anni i tossicodipendenti, italiani e stranieri, di qualsiasi religione, “perché per me sono tutti esseri umani”, dice con orgoglio. “Avete sentito le parole del papa? Sono frasi che hanno risuonato dentro di noi – dice don Alberto – perché tutti noi abbiamo deciso di puntare sul benessere materiale, solo su quello. Non è questione di italiani, o di Unione europea: è il modo di vivere all’occidentale che prevede queste cose, e che ci ha portato fino a questo punto”. Sull’orlo del precipizio.
Il sacerdote e direttore del Ceis sa di quello che parla: “Perché mio padre, a sua volta, è stato un migrante. Diciassette anni negli Stati Uniti, quando i poveri eravamo noi, quando gli immigrati eravamo noi. Ma la situazione, a pensarci, è diversa: perché oggi gli ultimi scappano non solo per fame, ma anche a causa delle guerre, della paura di morire. E quelli di noi che non lo capiscono è perché hanno perso del tutto il senso dell’umanità. Pensiamo allo spread, alle ricchezze, e siamo acciecati da cose come queste, alla faccia della realtà, della tragica realtà. E senza ricordare più che il benessere materiale non dà la felicità: può essere un mezzo, e comodo, per ottenerla, ma non è il fine dell’esistenza terrena. Il fine della vita, semmai, è abbracciarsi, aiutarsi l’un l’altro. Per questo sono d’accordo con chi ha proposto di candidare Lampedusa e i lampedusani al premio Nobel: cominciamo a darlo ai piccoli personaggi, quelli che affrontano in prima linea le sofferenze della vita…” E non, aggiungiamo noi, a quei personaggi grandi e grossi come Barack Obama, un Nobel “alle intenzioni” che poi, a colpi di missili e droni, ha proseguito il fine della guerra con altri mezzi.
E a Viterbo, come stiamo messi? Qui, nella provincia italiana così tranquilla e poco metropolitna, e spesso – secondo i cliché – anche così ipocrita? Don Alberto, dal suo osservatorio privilegiato, ha qualcosa da raccontare. “Anche noi abbiamo delle frange estremiste, che pensano solo ad accumulare, e non a dare. Quelli che non sopportano gli stranieri a prescindere. Ora, io che gli stranieri li ho sempre aiutati, che nella mia comunità accolgo persone di tutti i colori e di tutte le religioni, ho una piccola cosa da raccontare. Piccola, ma positiva. Tre volte alla settimana, coi ragazzi, facciamo un mercatino, nel quale vendiamo i prodotti biologici che produciamo al Ceis: olio, miele, ortaggi, cose così. Bene, c’è una ragazza extracomunitaria che è fenomenale, la gente la adora, la coccola, la rispetta. Le vogliono tutti bene. Ah, è una ragazza etiope”. Etiopia. A due passi dall’Eritrera, da dove sono partiti i migranti morti di Lampedusa, immolati prima di raggiungere un mondo che credevano migliore. Loro.

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22   Commenti

  1. Giorgio Molino ha detto:

    In mancanza delle amenità del Sor Francesco vanno benissimo anche gli sproloqui di un prete di provincia. Ah, le mode…

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