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“Torno per vincere, ma senza viterbesi”

Andrea Di Luisa

Andrea Di Luisa

Il ritorno sul ring, un classico della letteratura sportiva e non solo sportiva. La storia ne è piena: di epici, di tragici, di patetici. Quello di Andrea Di Luisa – che combatterà il 22 novembre prossimo a Frontino, nelle Marche, contro il croato Marko Benzon – è un ritorno polemico. Parecchio polemico. E con ragione da vendere.

Già l’esordio è un diretto al volto: “Intanto, non chiamatemi più pugile viterbese – dice Di Luisa – Chiamatemi solo pugile, o pugile napoletano. Viterbo non mi ha dato niente, e perciò non si merita nulla da parte mia”. Arriva la campana, a salvare i viterbesi da questo disastroso primo round, in cui le hanno solo incassate. Seconda ripresa, Di Luisa carica a testa bassa: “Dove sono i viterbesi? Cosa fanno per me? Mi hanno dimenticato, ecco. Sfruttato quando vincevo e c’era un evento, un incontro, che offriva loro un bel palcoscenico, ma adesso dove sono finiti?” Di Luisa ancora lavora e vive nella città dei papi, ma per allenarsi è costretto a fare il pendolare: Orte, una trentina di chilometri solo andata, e Civitavecchia, dal maestro Mario Massai, e qui i chilometri sono settanta, centoquaranta andata e ritorno. “Nessuno sponsor viterbese, nessuno che si preoccupi almeno di rimediarmi qualche buono benzina. Pago di tasca mia, col mio stipendio”. Serie di colpi alla figura.

La sveglia presto la mattina, la corda, la palestra, la fisioterapia, il ring come sparring partner di Mirko Laghetti, che combatterà nell’evento clou di Frentino per il titolo Ue. Sacrifici su sacrifici, quelli di Andrea e del suo staff, a partire da papà Michele (allenatore con Mario Massai), di Roberto Russo, Daniele Cecconi e di Alessio Marzo. Sacrifici affrontati per tornare a vivere il sogno della boxe, dopo che Di Luisa aveva sfiorato il cielo con un dito. Già, quanto sembrano lontani quei giorni del titolo italiano supermedi, e poi le riconferme tricolori e il trionfo intercontinentale con Acosta, in un PalaMalè strapieno di gente e d’entusiasmo. Poi i primi screzi, l’esilio (volontario, e comunque ripagato da un affetto straordinario) in quel di Montefiascone, e il ritorno ancora nel capoluogo per l’ultima puntata, la delusione europea contro il francese Rebrasse. Allora Di Luisa aveva deciso di smettere di combattere. La solitudine del campione, un altro cliché vecchio come il pugilato: gli amici di sempre che lo invitavano a non mollare, a prendere a pugni pure le delusioni e i finti amici. Lui che ci prova con la politica, candidandosi a consigliere comunale con il Pdl: non viene eletto, e passi, ma quello che ferisce Andrea è verificare che molti voti promessi, addirittura garantiti, non erano mica arrivati.

Ma un pugile è un uomo che si batte e s’abbatte soltanto sul tappeto del ring. La vita non può colpire duro, se hai la corazza che arriva dalla strada, dall’affetto della famiglia, dagli amici, dalla forza di volontà. Ecco allora che Andrea decide di tornare. Alla faccia di tutto, più forte di tutto. Riprende ad allenarsi, cambia manager (la Opi 2000 di Salvatore Cerchi, il meglio d’Europa) e torna ad allenarsi con più veleno di prima. Supera pure i problemi bastardi con la cervicale. Macina chilometri, smaltisce qualche chiletto (adesso siamo a 77, poco sopra il limite), aspetta con ansia la data e l’avversario. Che finalmente arrivano: il 22 novembre a Frontino, paese piccolo piccolo in provincia di Pesaro Urbino, la patria di Larghetti, con il quale si allena tutti i giorni. Ci siamo, ormai. E fa un po’ di tristezza vederlo di nuovo in azione – con la sua potenzia, la sua agilità, la sua cattiveria buona – in uno sperduto paese dell’Appennino, a trecento chilometri da qui.

Ma per Viterbo e i viterbesi, almeno una parte, non ci sono carezze. Semmai castagne, di quelle che fanno male: “Sono stato lasciato solo, lo ripeto. Qui non è un problema di impianti o di strutture, ma di volontà: non c’è un posto dove mi possa allenare perché nessuno si è adoperato per mettermelo a disposizione, o realizzarlo. Non ci sono sponsor, sostegno delle istituzioni, niente di niente. Semmai, le persone che hanno distrutto lo sport viterbese fanno carriera. E’ assurdo. Quanti atleti ha Vterbo a livello nazionale e internazionale? Quante squadre nei campionati di vertice?”. Pochi, pochissimi., E senza Di Luisa uno di meno, e un campione vero.

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