Godono come tinche, su per Montefiascone. E per forza, e quando ricapita una cosa così: battere la Viterbese, infliggerle la prima sconfitta, agevolare la contestazione dei tifosi? Sballi importanti, per una squadra, una città e una tifoseria che fino a qualche mese fa aveva più probabilità di vincere al Superenalotto, o di far passare un cammello nella cruna di un ago.
Ma tant’è. Se a Montefiascone si ubriacano con l’Energade, la colpa è pure del complesso d’inferiorità che si è impossessato della Viterbese, e dell’ambiente gialloblu tutto. In modo subdolo, che prende a poco a poco, ma inarrestabile. Già, perché c’è un solo problema all’ordine del giorno, un problerma grosso grosso che partorisce tutti gli altri: qui, bambole, tutti erano convinti di aver già vinto il campionato. Prima ancora di iniziare, prima di scendere in campo, prima di dare uno sguardo al risultato finale e alla classifica.
Erano convinti di aver già vinto in società. Con una squadra fatta nel modo più sbagliato possibile, e cioè partendo dai nomi e dai curricula dei calciatori, e non dalle loro caratteristiche, dalla loro fame. Come certe sontuose collezioni di quadri che mischiano Caravaggio e Picasso, Morandi e Giotto, in un’accozzaglia magari preziosa, ma scriteriata. Nel calcio, come nell’arte, non basta comprare tanto per comprare. Bisogna saper scegliere, saper investire. Colpa dei Camilli, dunque? Non del tutto, perché anche se l’ultima parola spetta sempre alla famiglia reale, certi consiglieri avrebbero potuto – appunto – consigliare per il meglio. E l’allontanamento del direttore sportivo Angelucci è la migliore conferma che questa rosa è nata male. Per fortuna che c’è il mercato di riparazione: è stato inventato proprio per correggere questi errori, basta avere le idee chiare (stavolta) e un portafogli ben pasciuto.
Ma anche gli stessi giocatori erano convinti di aver già vinto. “L’Eccellenza, puah, se la pappamo in due mesi”. Invece no. Non funziona così, specie se in campo si cammina, si paseggia, al massimo si trotterella, quando invece gli avversari saranno pure sconosciuti, ma corrono, eccome se corrono. Ecco, se non corri, se non sputi sangue, se non hai quella fame che fa smuovere le montagne e vincere le partite, scendi in campo già battuto. Ci potranno sempre stare le vittorie con classe, quella a Canino o col Monterotondo, ma prima o poi arriverà la tua Ladispoli, il tuo Fregene, ieri il Montefiascone. E qui s’inseriscono le colpe dell’allenatore, specialmente dell’ex, quel Claudio Solimina che avrebbe dovuto forgiare il carattere di un gruppo che, per conto suo, ci avrebbe messo le doti tecniche. Gli occhi di tigre, ci volevano, non lasciare il gregge a briglie sciolte, coi risultati che poi abbiamo visto. A Solimina, poi, un’altra contestazione: ha approfittato della prima sconfitta del suo successore Pirozzi – domenica a Montefiascone – per buttarsi con gusto sul collega ferito. Una caduta di stile che si sarebbe potuto risparmiare, anche perché Solimina, da vecchia volpe delle panchine, dovrebbe sapere come funzionano queste cose: oggi va male a me, domani a te. Sono tutti sulla stessa barca, i tecnici, e un po’ di solidarietà umana non ci starebbe mica male.
E infine, anche l’ambiente ha i suoi peccatucci da scontare. Perché pure tra i tifosi, la stampa, gli addetti ai lavori, si considerava la vittoria di questo campionato come “una formalità”. Formalità un par di ciufoli: sarà dura, invece, e bisognerà remare tutti nella stessa direzione, massa compatta, senza invidie e gelosie, senza gufate (già ne abbiamo viste abbastanza, in giro) e senza prestare il fianco ai soliti sciacalli che, per godere, hanno bisogno di distruggere. Sciacalli che tra l’altro nelle ultime ore sono usciti in forze dalle loro tane.
Pirozzi resta saldamente in sella, cambia qualcosa in società (è arrivato da Grosseto il diesse Vincenzo Minguzzi), cambierà molto nella squadra. L’importante però è che cambi l’atteggiamento di tutti. La storia la scrivono i vincitori, d’accordo, ma prima bisognerà pur vincere qualcosa.