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Fiumi d’inchiostro sulle mura civiche

Le mura nella zona di Porta Faul...

Le mura nella zona di Porta Faul

“Mura civiche, belle e abbandonate” ha titolato ieri l’altro questo portale il servizio di Andrea Arena che è andato a spasso da un capo all’altro del principale monumento del capoluogo. Prendendo spunto dal dettagliato reportage, proponiamo una sintetica nota su alcuni volumi e articoli che hanno trattato l’argomento negli ultimi lustri.

La prima opera da segnalare è quella dettata nel 1977 da Simonetta Valtieri, “La genesi urbana di Viterbo” (Officina edizione, pp.47), dal ricco apparato iconografico, che ricostruisce la  crescita urbana della città nel Medioevo e nel Cinquecento, assegnando un posto di primo piano proprio allo sviluppo delle mura, realizzate tra il 1095 e il 1278. Molta ampia la bibliografia.

Nell’articolo “Le mura: simbolo di una città” (in “Asterischi. Tracce di storia della Tuscia”, Vecchiarelli 2000, pp. 141), il medievista Massimo Miglio passa in rassegna le descrizioni delle mura da parte dei “tanti viaggiatori che toccarono Viterbo per raggiungere Roma”, impressionati dalle mura (ma anche dalle torri) che “costituiscono l’identità culturale della città, l’indice della sua capacità di aggregazione sociale, di vivere in comune, del potere di offesa e di difesa”, e sulle quali “si costruiranno particolari non secondari di quel patrimonio di storia, miti e leggende che testimoniano di una avvenuta fusione di elementi etnici diversi, di gruppi sociali diversificati e anche in contrasto con loro”.

E se oggi le mura sono considerate solo uno spartitraffico ovvero comode pareti imbrattate da pseudo-writer, Miglio ha cura di ricordare che  “la legislazione statutaria viterbese della metà del Duecento impegna il podestà a far riparare, riadattare, aggiustare le mura della città, impedisce a ognuno di porre alcunché sui muri e sulle torri”, in quanto “qualsiasi effrazione è un danno per l’intera città…”.

E infine, ma non d’importanza, si può leggere/rileggere l’articolo di un altro medievista – Alfio Cortonesi, già preside della facoltà di Conservazione beni culturali della Tuscia – apparso su queste colonne (“Mura civiche, belle e abbandonate”, 7 febbraio 2013). Riproponiamo parte del brano finale.

“Per secoli le mura urbiche hanno contribuito a definire l’identità di Viterbo, cosa che peraltro ancora oggi accade nonostante l’espansione extra moenia della città. Consapevolezza storica, sensibilità culturale, elementare buon senso imporrebbero di tutelarne i destini, considerato anche il fatto che rappresentano una delle maggiori attrattive di cui la città può avvalersi per la tanto spesso evocata intensificazione del ‘turismo culturale’. E’ dunque utopia immaginare un monitoraggio delle mura che non attenda per compiersi il collassamento di questo o quel tratto? Può pretendersi che quando si renda necessario ricostruire lo si faccia senza dilettantistica improvvisazione, bensì con filologica aderenza alle vicende storiche e architettoniche del monumento? E’ troppo chiedere che si difenda il circuito murario dall’intrusione di nuove installazioni commerciali, dall’apertura inconsulta di nuove finestre, e magari si pensi finalmente a realizzare intorno ad esso (laddove ancora possibile) una zona di rispetto che cancelli le deturpazioni di parcheggi sterrati, locali ‘fast food’, benzinai e quant’altro? Appartiene, infine, al novero delle possibilità che la competente Soprintendenza, di fronte a tale sfascio, batta un colpo per mostrare che esiste?”.

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