Io, speriamo che vinca Renzi. Perché, se uno non vuole rifugiarsi nel populismo di Beppe Grillo o in quello ormai un po’ consunto di Papi Berlusconi, il sindaco di Firenze è ormai l’ultima speranza per cambiare l’Italia.
Oggi dunque il popolo delle primarie dovrà dire se il Bel Paese ha bisogno di una vera sterzata o se invece è meglio rimanere così e continuare a navigare a vista, con un teatrino della politica che ogni minuto si fa sempre più ridicolo e miserando.
Io, speriamo che vinca Renzi, per dieci precisi motivi.
Il primo: il Governo Letta in questi otto mesi è apparso spesso tremebondo, incapace di prendere decisioni forti (che invece all’Italia servirebbero come il pane) e non ha cambiato di una virgola la vita degli italiani.
Il secondo: si è fatto dettare l’agenda politica da Berlusconi, andandosi a impantanare sull’Imu con questo pasticciaccio finale sulla seconda rata che fa soltanto incazzare la gente e rende ridicolo il Governo stesso (della serie: non era meglio pagarla e destinare le risorse al lavoro?).
Il terzo: Renzi non ha mai detto che vuol far cadere il Governo Letta, ma che vuole spingerlo a fare tutte quelle cose che finora non ha fatto. Altrimenti che ci sta a fare?
Il quarto: il sindaco di Firenze pretende anzi un’inversione di tendenza dal momento che, essendosi ristrette le larghe intese, il Pd è il partito di maggioranza all’interno del Governo e ha quindi la responsabilità di dettare la linea.
Il quinto: Matteo Renzi è l’unico in grado di comunicare con estrema chiarezza alle persone quello che vorrebbe fare se diventasse segretario, tanto che riesce a capirlo anche mia mamma, che ha 91 anni ed è molto rincoglionita.
Il sesto: vuole rottamare tutte le correnti, a cominciare dalla sua, che in questi anni sono state il vero cancro di un Pd che non è mai decollato e che ha raggiunto il massimo dell’ignominia con i 101 che hanno uccellato Romano Prodi alle votazioni per la presidenza della Repubblica.
Il settimo: in passato il sindaco di Firenze ha dato dimostrazione di estrema lealtà, tanto che quando perse le primarie da premier con Bersani poi si è messo da una parte e ha fatto esattamente quello che aveva detto di voler fare.
L’ottavo: sulla legge elettorale siamo ancora a carissimo amico e ci ha dovuto mettere le mani la Corte Costituzionale per obbligare deputati e senatori a farne un’altra (e vedremo se la faranno…).
Il nono: anche sulle riforme istituzionali siamo al punto di partenza.
Il decimo: l’attuale classe dirigente del Pd non è stata in grado per vent’anni di proporre un’alternativa valida a Berlusconi, facendogli anzi anche da stampella (discorso di Luciano Violante alla Camera del 2002).
Io speriamo che perda Peppe Bucìa.