C’è un albero di cachi bellissimo, accanto alla chiesa di Santa Maria delle Fortezze. Nudo di foglie e carico di frutti, le antiche mura di Viterbo sullo sfondo: è l’immagine migliore per questo ultimo scorcio d’autunno. Peccato che da quelle parti, la notte, la chiesa e tutt’intorno si trasformino in un ricovero per disperati. Accendono fuochi, si rannicchiano dentro i sacchi a pelo, e bevono, bevono, bevono, finché l’alcol non li vince.
E’ una delle realtà nascoste – ma poi neanche troppo – di queste nostre mura antiche. La cinta medievale meglio conservata d’Europa, dicono gli sciovinisti, magari quelli che non hanno presente come sono messi a Lucca, o a Carcassonne, per dire. E giusto oggi c’è anche un convegno sullo stato della cintura. Per rendere un’idea, ecco come stanno le cose ad oggi, anzi a ieri.
Le nostre saranno pure mura completissime e austere e ben tenute, in certi tratti – quelli nei punti classici e visibili, da dove arriva la via Francigena (Porta Fiorentina) e da dove riparte (Porta Romana) – ma nel resto del perimetro affiorano spezzoni dimenticati. E abusati. E violentati. E abbandonati dal tempo, come se non fossimo già nel 2014, ma in un periodo storico in cui le mura erano il rifugio dei reietti, degli espulsi dalla città, degli emarginati e ostracizzati. Degli extra moenia, la maledizione definitiva dell’epoca.
Prendiamo Valle Faul. Un altro ingresso principale, oltre a quelli della Cassia. Perché metteva in collegamento col mare, con la Maremma, con le terme, con le zone agricole di Castel d’Asso e oltre. Ci sono dei meravigliosi dipinti d’epoca, che immortalano l’antica porta: il Duomo e palazzo papale sullo sfondo, l’Urcionio che scorre placido, un carretto da contadino che arranca verso la città. Oggi quella fessura, e le mura munitissime tutt’intorno, sono ridotte male. C’è il traffico, d’accordo, con una rotonda intruppata tutto il giorno dalle auto e dai furgoni e dai camion e da tutto.
C’è sempre l’Urcionio che scorre placido, ma ora puzza di fogna e di marcio. C’è il fast food che macina panini e patatine, e che ha riportato un po’ di vita commerciale a questo angolo depresso e di passaggio della città. Non basta, non può bastare.
Poi ci sono le mura, e la Torre della Bella Galliana, un pezzo grosso del patrimonio viterbese: proprio ai piedi della torre c’è una scritta di cinque metri cinque con lo spray, azzurro intenso, e fresco: “Giorgia più Davide uguale Amore”. Auguri, e figli maschi: a occhio e croce non l’hanno fatta due guelfi innamorati del Milleduecento, ma due adolescenti con cresta e Iphone, appena qualche mese fa.
Orribile, orrenda. Intorno alla porta di Faul, le stranezze non mancano: meccanici, gommisti, pied à terre di prostitute sudamericane e trans (che spesso s’affacciano durante la notte per adescare clienti, come ad Amsterdam) pizzerie di nuova apertura, la casa di Alfio (appena dentro la porta), sigillata e abbandonata, coin vetri rotti delle finestre. Graffiti ovunque. Erbaccia e monnezza pure. L’ex gasometro ed ex centro sociale, balena spiaggiata e in putrefazione. Di fronte, lo scintillante incubatore culturale, uno spettacolo ricavato dall’antico mattatoio: modernissimo, cablato, smart – come si dice oggi – ma la classica mosca bianca. Più su, verso il centro, ristoranti alla moda ma anche terribili spacci di anticaglie a buon mercato. E i ruderi di un’antica chiesa, in vendita al miglior offerente, magari le Bestie di Satana, magari uno sceicco che ne farà un bordello.
Ma la scoperta più grande arriva ancora fuori le mura, risalendo verso Pianoscarano. C’è il canneto, il sentiero per le passeggiate, e poi, risalendo e fiancheggiando la cinta, ecco la foresta nera e vera. Il ruscello che cade, la vegetazione che s’infittisce, e la discarica. Materassi. Confezioni famiglia di profilattici. Birre. Copertoni usati. E salendo ancora, svoltando un’ansa delle mura, ecco la sorpresa: una casa. Già, un tizio (o più tizi) che abita non sotto, ma dentro le mura. Ha riadattato, con ogni evidenza, un vecchio magazzino o ricovero per animali scavato alla base della cintura. Ci sono panni stesi, pentole, taniche. Segnali di vita domestica ai piedi dei bastioni medievali, in barba ad ogni vincolo culturale e paesaggistico, oltre che igienico. Suggerimento per le guide turistiche: portate tedeschi e cinesi, americani e arabi, a vedere questo spettacolo. E’ unico, è reale. E se siete fortunati magari potreste anche osservare da lontano un esemplare di homo murarius. Ce l’abbiamo solo noi.
Adesso via, parlate delle mura, del tesoro unico dei viterbesi. Il dibattito è aperto, apertissimo.
Non c’è che da aspettare l’intervento salvifico di Philip Red from Trieste o del suo confusionario ex seguace Matteù.