Nel mondo arabo durante le giornate ventose vengono rimandati persino i processi. Si ritiene che un clima ostile non porti ad un ragionamento lucido. È preferibile pertanto farsi due passi e rinviare le sentenze a tempi migliori. A Viterbo, o meglio a Bagnaia, non è il caso nemmeno di uscire di casa. Semplicemente perché si rischia la vita. È bastato infatti un fine settimana all’insegna delle raffiche per creare il panico più assoluto tra gli avventori di Villa Lante. Coloro i quali si dirigono al parco (il più bello d’Italia nell’anno del Signore 2011), sempre con maggior frequenza, al fine di respirare un po’ d’aria pulita o di sgranchire i muscoli.
Alcuni giorni or sono un imponente tronco è crollato a pochi metri da un signore intento al footing. “Stavo correndo – dice lo stesso – Ed ho sentito un rumore fortissimo. La vegetazione dietro di me si è accasciata al suolo. Come se qualcosa la spingesse con forza verso il basso. Un albero è caduto dov’ero appena passato. E se non bastasse, lungo il tragitto sterrato avevo sorpassato una coppia di inglesi con due bimbe al seguito. Fortuna che io mi sono trovato oltre e loro prima. Altrimenti non so come sarebbe finita”.
E questo è solo l’ultimo episodio di una lunga serie. Basta infatti fare un sopralluogo per rendersi conto di quante carcasse ci stanno qua e la. Un esercito di piante abbandonate al proprio infausto destino. E pare che alla base del problema ci sia un discorso legato alla manutenzione, all’eccesso di acqua elargita nel tempo. Il troppo innaffiare ha indebolito i signori del bosco, rendendoli fragili nonché soggetti a facile e naturale diradamento, quando esposti ad eccessivo peso (neve) o forte vento.
In tutto ciò ci si interroga sul ruolo della Sovrintendenza. Chi pensa alla manutenzione se non chi ha le chiavi della Villa? Perché i giardini sono perfetti e l’area ad ingresso gratuito invece è così trascurata? Domande che ormai a Bagnaia quasi non se le pone più nessuno. E non certo per menefreghismo, ma piuttosto per rassegnazione. “Il parco di lunedì è chiuso – lamentano i frequentatori – Mica è una parrucchiera. Al botteghino non danno informazioni, strappano solo biglietti. E poi vorremmo sapere quanti laureati in Beni culturali ci stanno. Manca una cartina. Un angolo ristoro, che non sia un tristissimo distributore automatico. Non sono previste tariffe agevolate per i residenti. Le staccionate sono tutte divelte. Si trova parecchia sporcizia. L’orario è molto corto, anche in estate. I turisti spesso se ne vanno arrabbiati. Il sito Internet è penoso. Le attività circostanti potrebbero crescere e risentire meno della crisi, invece non è mai stato stipulato un pacchetto che porti i turisti, ad esempio, a visitare il borgo”.
In questo clima da separati in casa forse l’unica buona idea esce dalla bocca del solito saggio vecchietto al bar: “Perché non affidare lo smaltimento ai ‘focaroli’? Così il Comitato avrebbe parecchia legna da ardere per Sant’Antonio”. Il Sacro Fuoco in effetti si alimenterebbe di prodotti locali. Nella piena concezione del riutilizzo, che poi sta in bocca a mezzo mondo. A quanto pare però la burocrazia non ha ancora scoperto tale concetto. Meglio lasciarci le penne.
Degrado? Abbandono? Niente paura! Al comune abbiamo due supereroi come Filippo Rossi da Trieste e il suo fido e ottuso cameriere Barelli, che con i loro superpoteri metteranno a posto tutto, da Villa Lante al Teatro Unione, dalle cacche dei cani alla kultura (con la kappa e col c.) come kaffeina!