Politici vedovi del potere che, dopo non aver dato egregi esempi, ora si sperticano, urlando e rivolgendosi perfino alla Procura, in ottimi consigli su come vanno gestite le politiche culturali.
Maître à penser all’acquacotta (o, se preferite, alle “faciole co le cotiche”), quotidianamente impegnati ad ammirarsi l’ombelico ed autoconsiderarsi padreterni, bastonando senza pietà chi non li incensa (sia a livello simbolico che materiale) “comme il faut”.
Il dibattito (connotato da vomito logorroico, sia scritto che parlato) sugli eventi culturali 2013, proposti e organizzati dall’esecutivo guidato da Leonardo Michelini, non è stato dei migliori.
Se si elencano le espressioni utilizzate per crocifiggere Michelini e l’assessore alla Cultura Giacomo Barelli, si evince che palazzo dei Priori è governato da barbari, dannosi, provinciali, goffi, carnefici della bellezza, dilapidatori di soldi pubblici, dilettanti allo sbaraglio che hanno trasformato il centro storico in una pecionata, in una discoteca per bambini, con gli affreschi della Sala Regia, dove sono ospitate le pale di Sebastiano del Piombo, in pericolo per “gli scafandri” (copyright Vittorio Sbarbi) che le contengono etc. etc.
Nemmeno ai tempi del glorioso sperpero di migliaia di euro da parte del Cev (il contro finale, pagato dai cittadini, ha superato i cinque milioni di euro) si è dato fondo al dizionario alla ricerca di parole aspre, al limite dell’insulto.
Domanda: è possibile, come ha fatto il sociologo Francesco Mattioli in un esemplare articolo, affrontare il tema senza coltello tra i denti, partendo dal fatto che le opinioni sono opinabili per definizione?
L’opinione di chi scrive è la seguente: Michelini & C. hanno avuto un’ottima idea che è andata oltre quella manifestazione di culto (!) dei suoi predecessori, vale a dire la fantasmagorica corsa dei Babbi Natale.
Il Festival delle luci – in auge in tante città italiane, dove nessuno si scandalizza delle installazioni che contengono le apparecchiature necessarie, vedi piazza dell’Unità d’Italia a Trieste – offre emozioni diseguali: male San Carluccio e piazza Fontana Grande, discreto palazzo dei Priori, molto bene piazza del Gesù e piazza San Lorenzo.
Le mostre: giudizio più che positivo. Aver interrotto la cattività della “Pietà” e della “Flagellazione” è la dimostrazione che questa città, quando vuole, è in grado di offrire il meglio di sé, in questo caso vette della pittura mondiale di tutti i tempi. Bel colpo d’occhio anche al Gonfalone, con la stupefacente “Natività” di Stern della collezione di Vittorio Sgarbi che dialoga, per così dire, con Romanelli.
Faccio mie le conclusioni del contributo di Mattioli: “Diceva mio nonno che, a non fare, non si sbaglia mai, ma a non far nulla si muore presto. Sta a chi vede lontano aiutare i miopi ad andare avanti, senza abbandonarli alle loro deficienze…”
E infatti fanno proprio pena due illetterati come Filippo Rossi da Trieste e l’ottuso superassessore Barelli che si atteggiano a uomini di cultura.