Dai siti etruschi e romani (Barbarano, Blera, Norchia etc,), a quelli medievali (Corviano Farnese, San Nicolao, Santa Cecilia, Sutri et. ), fino a quelli che coprono un arco cronologico che affonda le sue radici nella Preistoria. Innumerevoli sono i mirabilia, scavati nel peperino e/o nel tufo che punteggiano l’intero territorio della Tuscia, realizzati di volta in volta per varie funzioni (luoghi di sepoltura, cerimonie pagane, liturgie cattoliche).
Complice Maurizio Gregori, sindaco di Vallerano, che ha rispolverato la Grotta del SS Salvatore, con l’obiettivo di metterla in sicurezza e tutelarla anche ai fini cultural-turistici, ritorna in auge (finalmente) la cosiddetta Tuscia rupestre, che nulla ha da invidiare, in quanto a fascino e bellezza, alle tombe etrusche dipinte di Tarquinia, alle chiese romaniche di Tuscania, ai monumenti del capoluogo.Certo, molte evidenze sono difficilmente fruibili: o perché andate distrutte, per cui se ne ha memoria solo grazie a ingiallite fotografie o vecchi saggi, o perché soffocate dalla vegetazione.
Prendiamo proprio la grotte del Salvatore di Vallerano. Il relativo eremo fu eretto dai Benedettini intorno al XIII secolo d.C. Alle pareti, una affascinante sequenza di affreschi molto deteriorata, in gran parte ormai illeggibile, raffiguranti il SS. Salvatore, San Benedetto, S. Pietro ed altri santi, una Madonna con Bambino, e un unicum: la Comunione degli Apostoli.
Sulla Tuscia rupestre segnaliamo un sito web e due saggi di taglio accademico. Il portale internet (http://www.tusciarupestre.eu), afferente all’omonima struttura di Barbarano Romano, racconta e illustra “le grandiose necropoli etrusche, i borghi medievali ancora oggi abitati, le rocche abbandonate, le profonde forre dalla straordinaria biodiversità, le produzioni agricole e zootecniche di qualità, le tradizioni della fiera gente dei paesi: sono tutti questi luoghi il museo diffuso”.
I saggi. Uno più datato, del 1976, reperibile in biblioteca, dal titolo “Insediamenti rupestri religiosi nella Tuscia” di Joselita Raspi Serra, (in Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen Âge, temps modernes Bd. 88, S. 27-156), testo che rimane fondamentale, una sorta di censimento di tutti siti sparsi nell’Alto Lazio. L’altro, più recente, del 2009, curato da Maria Andaloro, docente di Storia dell’arte medievale all’Università della Tuscia e già preside della facoltà di Conservazione dei beni culturali, “La Cappadocia e il Lazio rupestre. Terre di roccia e pittura”, con saggi di Daniela Sgherri, Geraldine Leardi e la stessa Andaloro (Cangemi editore, pp. 128, euro 28). Nel volume si sostanzia un assunto affatto originale e suggestivo: “la Cappadocia e la Tuscia rupestre, regioni per molti aspetti dalle caratteristiche geomorfologiche differenti, risultano affratellate dalla condivisione di una realtà comune: quella degli spazi nella roccia a destinazione religiosa e dotati di pitture di soggetto cristiano”.