Tutti pazzi per la Macchina di Santa Rosa. Per i viterbesi non è certo una novità. Ma l’aver ottenuto dall’Unesco il titolo di bene immateriale dell’umanità ha, come si suol dire, rinfocolato gli animi. Dunque, viterbesi tutti felici e contenti, amministratori in un brodo di giuggiole, idee più o meno originali che spuntano da ogni dove e un’attenzione tutta nuova anche da parte dei media nazionali, che hanno spedito i loro inviati nella Tuscia per celebrare degnamente l’evento e realizzare servizi televisivi, radiofonici, web, su carta stampata. E chi più ne ha, più ne metta. Ergo, fin qui tutto bene. E gloria sia a Santa Rosa (ma quella a Viterbo non è mai stata in discussione) e all’Unesco, cui va il merito di aver provocato un salto di qualità da anni anelato, ma mai messo in pratica.
Tutto ciò comunque, non fa altro che riproporre – e stavolta in maniera ben più pressante – un problema vecchio come il cucco: vale a dire quale debba essere la strategia per fare di una festa folkloristico-religiosa di assoluta eccellenza un volano di sviluppo per il territorio. Che sarebbe benedetto da Santa Rosa stessa in questo triste periodo di vacche magre.
Santa Rosa è dei viterbesi? Vabbè. Ma forse questa potrebbe essere l’occasione buona per farla uscire “oltre le mura” (e ci perdoni il sindaco Leonardo Michelini se abusiamo del copyright della lista con cui ha concorso alle ultime elezioni amministrative). L’occasione buona per farne un evento principe in mezzo a una serie altri di eventi (possibilmente di qualità) che attraggano su Viterbo l’attenzione dell’opinione pubblica per un periodo determinato di tempo, che vada oltre la fatidica sera del 3 settembre (che il più delle volte è un giorno feriale nel quale la gente va al lavoro).
Insomma, il riconoscimento dell’Unesco crea un dovere alla città tutta: quella di ripensare Santa Rosa, la sua festa e, soprattutto, il famigerato (ci si consenta) Settembre viterbese, da sempre accozzaglia di eventucoli che interessano spesso soltanto gli organizzatori, i loro parenti e qualche amico di buona volontà.
Ora si parla di Trasporto straordinario a maggio, con annesso invito di papa Francesco. Ben venga, ammesso che ci si riesca. Ma la festa settembrina avrebbe bisogno di una riforma strutturale (come quella delle istituzioni italiane, che non si riesce a fare) che identifichi Viterbo come “la città della Macchina di Santa Rosa”, come Siena è la “città del Palio” e Spoleto “la città del Festival dei due mondi”.
Oltretutto la cosa potrebbe venire proprio a fagiolo, vista anche la mozione presentata in consiglio regionale da Riccardo Valentini, che ha candidato Viterbo a Capitale della cultura. Una sfida ambiziosa, che il capoluogo della Tuscia ha tutti i numeri per poter vincere. A patto che…
A patto che Viterbo decida finalmente di confrontarsi col mondo che cammina, anzi corre. Dove chi si ferma è perduto. Che si abbandonino i vecchi retaggi provinciali (che tante volte hanno fatto da freno) che ci si apra finalmente alla realtà del ventunesimo secolo e (piacciano o meno) alle sue caratteristiche.
Con l’Unesco Viterbo e i viterbesi hanno pescato dal mazzo un bel jolly. Ma sapranno giocarselo a dovere?
Leggendo il titolo, per un minuto abbiamo temuto che il jolly da giocare fosse l’ottuso superassessore Barelli. Pericolo scampato.