05052024Headline:

Germanizzare l’Italia vuol dire ucciderla

operai-fabbricaLa proporzionale è l’arma che l’Europa mette in mano ai propri nemici per colpirla. La mattanza avverrà l’ultima settimana di maggio, per la precisione domenica 25, ed è facile immaginare l’entità dei danni che provocherà. La decrescita economica, ancorata alla globalizzazione planetaria, non fa che accrescere quel sentimento di diffidenza verso lo straniero che nutre l’euroscetticismo. Il populismo esploso in mezza Europa si nutre anche di queste paure; non è un caso se in ventuno paesi dell’U.E. partiti e movimenti di natura lepenista siano nati con il secolo nuovo. Partiti questi che, in una decina di casi, prevedono il voto a doppia cifra e che già governano in Norvegia e in Ungheria. Questi fenomeni cresceranno inevitabilmente se l’Europa non provvederà a darsi una politica estera e di difesa comune e se non procederà all’integrazione bancaria. In altre parole è giunto il momento del terzo tempo europeo: dopo l’unione realizzata nell’immediato dopoguerra e la seconda tappa scritta con il trattato di Maastricht, la sola e unica dipendenza dalla Germania ha fatto il resto. Ora deve aprirsi il capitolo dell’unità politica. Prendendo spunto da Thomas Mann, per il quale la Germania avrebbe vissuto europeizzandosi, “l’Europa muore se si germanizza”.
Seguendo la storia, la prima generazione di immigrati si mosse per lavorare, la seconda per integrarsi, la terza è stata travolta da un processo di disintegrazione socio-economico terribile e devastante. Ricordiamoci che l’economia italiana non può fare a meno dei migranti, per questo lo Stato deve impegnarsi su due fronti: da una parte fermare la xenofobia con le leggi e con l’educazione civica, dall’altra favorire l’integrazione da entrambe le parti rifuggendo da concetti dannosi e strozzati in archetipi di vecchio manierismo cattolico e comunista, quali buonismo e permissivismo. Bisogna imparare a essere ospitali con chi fugge dalle guerre, accogliendo chi viene per studiare e per lavorare; dobbiamo essere fermi nell’allontanare chi delinque pretendendo che l’Europa faccia la sua parte tramite diplomazia e sorveglianza. Per affrontare la questione in maniera ragionata e scientifica bisogna muovere i passi da quelle misure necessarie come togliere il reato di immigrazione clandestina, lo jus migrandi teorizzato da Francisco de Vitoria nel 1539 per giustificare la conquista spagnola del nuovo mondo che è stato tradotto in reato. Ancora, istituire il diritto di cittadinanza per i nativi figli di genitori che risiedono in Italia da almeno cinque anni; attestare la disponibilità all’integrazione, prendendo a parametri la frequenza scolastica, la conoscenza della lingua e il lavoro regolare. Infine è basilare difendere il multiculturalismo, fattore fondante di una rivoluzione culturale ancora in atto, combattendo allo stesso tempo con decisione costumi tribali lesivi dei diritti individuali. I governi nati negli stati nazionali si sono avvalsi, per dar forma alle loro idee, della democrazia rappresentativa, piegata a proprio uso e consumo. L’asse DEMOCRAZIA/CAPITALISMO/PARLAMENTO è in crisi da oltre un decennio, combattuto dalla mondializzazione, da una stravolgente rivoluzione tecnologica e dall’affermarsi di un individualismo demagogico che stimola le emozioni più che la ragione. Nel nostro Paese, disintegrazione dei partiti e il discredito della classe politica hanno dato il colpo di grazia. Sanare queste ferite è una priorità che deve passare attraverso due mosse urgenti. Per prima cosa affidare i partiti ai dettami costituzionali espressi nell’articolo 49 della nostra Carta, muovendo verso principi di democrazia interna, libertà di accesso, procedure codificate e facilitazioni per chi ha bilanci certificati e posizioni in regola con il diritto. In seconda istanza bisogna allargare la platea della partecipazione: in tal senso, è già pronto un disegno di legge che conferisce il diritto di voto ai sedicenni – per chi, allibito, si domandasse se non siano troppo piccoli, ricordiamoci che lo stesso si pensava anche dei diciottenni di qualche generazione fa. È imperativo, quanto apparentemente ovvio, coinvolgere i cittadini prima di assumere le decisioni su questioni di forte impatto: forse, se questo discorso fosse stato fatto per la TAV avremmo evitato il muro contro muro e gli scontri inutili e deleteri. È urgente una sessione parlamentare straordinaria sui diritti alla persona, terreno sul quale sembriamo esserci persi all’inseguimento di ombre nere più che altro romanzate. Unioni di fatto, bioetica e testamento biologico, libertà della scienza: questi sono tutti campi che, finora presieduti da entità e movimenti, devono tornare nella disponibilità dello Stato laico e delle coscienze individuali.
In altre parole dobbiamo tornare a custodire quell’individualità necessaria a condividere e confrontarsi su principi che muovano verso il bene comune e comunitario: dobbiamo quindi lasciarci ispirare dal modus operandi che sta alla base delle associazioni che, come la nostra, lavorano per intercettare le singole problematiche traducendole in istanze di categoria da sottoporre agli organi preposti alla conduzione del Paese.

 

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