Le mucche laziali si potrebbero offendere. Perché a quanto pare valgono meno di quelle del nord. E se non direttamente loro quanto meno ciò che ne consegue (nonché gli agricoltori che su di esse basano la propria attività). Okay, detto così magari è forse un po’ troppo semplicistico come concetto, ma andando a stringere non si può di sicuro affermare altro. Perché l’accordo tra Regione e Centrale di Roma sul prezzo del latte vaccino non ha portato a nulla di buono. O meglio, tutte le perplessità sollevate a riguardo dalla Coldiretti sono state riviste (o addirittura ignorate) dalla politica in fase di trattativa. “Un grave atteggiamento da parte delle istituzioni in un momento delicatissimo – sottolinea il direttore viterbese Andrea Renna – giacché l’assessorato all’agricoltura in ben due riunioni, le ultime, aveva rimarcato la necessità di discutere il futuro della filiera, anche alla luce della nuova Pac (politica agricola comunitaria, ndr). Poi ci si ritrova così, pienamente insoddisfatti”.
Eppure Coldiretti aveva anche avanzato un modello virtuoso dal quale prendere spunto. Un buon copia e incolla non è mai peccato, se pescato da realtà funzionanti. Il presidente Mauro Pacifici aveva posto sotto i riflettori il nuovo sistema lombardo. Laddove le cose girano a dovere attraverso la stretta di mano tra politica e Italatte (alla quale fanno capo storici colossi quali Lactalis, Parmalat, Galbani, Invernizzi e Cademartori). “Quello è ovviamente un prezzo equo – prosegue Renna – Utile per permettere una ripartenza in chiave economica. Nonché indispensabile agli agricoltori per il tentativo di uscire dalla crisi. E su tutto per offrire al mercato un prodotto di qualità, fortemente concorrenziale. Lamentiamo un trattamento totalmente diverso sul fronte Lazio, che ha già i suoi discreti problemi in questo campo. Ci dovrebbero stare a sentire meglio, in virtù dell’ampia fetta di aziende e privati che rappresentiamo”.
E ora che scenario si apre? Come si può riemergere se alla base della catena già si parte in sofferenza? “Con la valorizzazione della qualità locale, è questa la strada da percorrere – aggiunge il direttore – e le nostre battaglie puntano lì. Spesso vengono utilizzati pericolosi stratagemmi, vedi le importazione dall’estero. Che sicuramente sono assai concorrenziali, ma senza dubbio non concedono gli alti requisiti delle nostre tipicità. Possiamo e dobbiamo arrivare a controllare tali fenomeni. La risalita è dura, non c’è dubbio, ma non ci si può fermare. E a tal proposito ci muoveremo anche in altri settori, in primis sul piano di sviluppo rurale”.
Alla fine pagherà sempre il Pantalone contribuente onesto (e fesso)?