Se ci fosse Re Salomone la soluzione della crisi in Provincia sarebbe un gioco da ragazzi. Un colpo di spada e i sette assessori in carica sarebbero dimezzati, fisicamente. A quel punto basterebbe gettare via una metà (dalla cintola in su) e lasciare l’altro pezzo – che poi sarebbero gli illustrissimi sederi – sulle rispettive poltrone. Volendo soddisfare le pulsioni più estremiste, poi, si potrebbe fare lo stesso anche col presidente del consiglio e quello della Provincia stessa, per una spending review magari un po’ pulp, ma comunque efficace e certamente definitiva.
Già, perché se il presidente Marcello Meroi si è dimesso lunedì scorso bisognerebbe dare la colpa proprio al mancato accordo di maggioranza sulla riduzione delle spese. Così ci hanno spiegato i diretti interessati in centinaia di articoli, comunicati, interviste et ammiccamenti. Così alla fine ci siamo convinti che siano andati i fatti. Eppure, il dubbio è un tarlo che s’insinua e che rode: ma come, la Provincia nostra bella che si sfascia su un tema così attuale ed elementare, così ecumenico, così in fondo banale, della riduzione dei costi? Questi riescono a litigare persino su una roba così? Allora hanno ragione i grillini – che a palazzo Gentili però non ci sono -, i forconi ci hanno visto lungo, la kasta si merita quella kappa cattiva, è tutto uno schifo e non cambierà mai nulla, signora mia.
Invece. Invece basta tendere l’orecchio oltre gli spessi muri, aguzzare lo sguardo dietro le nobili finestre, offrire una sponda gossippara alle gole profonde che aleggiano in via Saffi, per capire che la spending review è soltanto la vetrina che si vede dalla strada, bella e piena zeppa di luci e manichini, per abbindolare i passanti. Dietro, nei sottoscala e nei corridoi, c’è molto di più. Intendiamoci: se il problema fosse stato “solo” quello, un accordo lo si sarebbe trovato. Perché alla fine è l’ente Provincia stesso che si è sempre retto su un sistema di rimborsi, diarie, indennità, contributi, oltre che su un spoil system mai troppo radicale, in modo da accontentare a turno maggioranza e opposizione, protetti di sinistra e protetti di centrodestra. Mai qualcuno che abbia protestato. Mai qualcuno che abbia provato a denunciare il malcostume. Stava bene a tutti. E perché mai oggi, ad un anno dalla fine della festa (la legislatura scade nel 2015) e col ministro Delrio che sta per tagliare tutte le Province in quanto tali, è esplosa questa frenesia di risparmiare? Suvvia, non ci crede nessuno, neanche il boy scout più sempliciotto.
La realtà è che la Provincia, questa Provincia, si è ridotta ad una disperata battaglia per la sopravvivenza. Di qua e in misura minore anche di là. Di qua, perché al centrodestra è rimasto solo palazzo Gentili per decidere qualcosa: è all’opposizione in Comune, è all’opposizione in Regione. Non era mai capitato prima. In più, lo stesso centrodestra è spaccato, frastagliato in tante componenti che non riescono più ad incastrarsi e fare una figura unica, come succede per le sorprese montabili nell’ovetto Kinder, quelle che alla fine non si compongono mai. C’è il Nuovo Centrodestra, assente addirittura in Comune e popolato o da vecchi arnesi o da giovani tristi: per nessuno di loro s’intravede un dignitoso avvenire politico alla fine della Provincia. C’è Fratelli d’Italia, eterodiretta da fuori e che con gli assessori esterni ha tirato un po’ troppo la corda (pare che la nomina di Fracassini junior non sia stata digerita dagli alleati). C’è l’Udc, che riuscendo a prendere il presidente del Consiglio è come se avesse vinto la Champions league. Ci sono i cani sciolti, famelici e senza guinzaglio.
E il centrosinistra? Peggio mi sento. Qui invece di gioire, o magari di attaccare a palle incatenate alle dimissioni di Meroi, si è riuscito soltanto a produrre un comunicato melenso e populista dal titolo “Una decisione in barba ai problemi dei cittadini”. Questi debbono aver confuso il fair play istituzionale con l’autismo. E poi, basta dare una scorsa ai nomi: Grattarola (il capo dell’opposizione, c’è scritto sul biglietto da visita), Cappelli, Carai e Ciancolini sono ex sindaci non più ricandidabili nei rispettivi comuni. Bengasi Battisti, Luzi e Palozzi stanno completando il loro secondo e ultimo mandato con la fascia tricolore. E con tutto il rispetto, nessuno di questi sembra aver carte politiche da giocare in futuro.
Ecco perciò che le dimissioni di Meroi hanno messo in seria difficoltà questo florilegio di storie personali, non certo di successo. Non lo farà mai, dicevano forse per esorcizzare il pensiero. Invece lo ha fatto. E adesso tocca a loro, a questa piccola e maldestra casta di provincia (con o senza la maiuscola) formulare una strategia d’uscita non tanto credibile – perché ormai non ci crede più nessuno – ma il meno possibile vergognosa. E visto che in ballo ci sono ancora un bel po’ di quattrini da spendere, ecco che entro il 2 febbraio magari un accordo si troverà. Non ci sarebbe niente di strano, semmai di patetico.
Quello che sta accadendo in provincia è una ributtante sceneggiata pagata da noi contribuenti. Fora da i ball il mediocrissimo Meroi e gli altri mangiagettone a tradimento.