«E adesso?». Una domanda, un refrain che riecheggia tra assessori e consiglieri a palazzo dei Priori. E che inquieta il primo cittadino, quel Leonardo Michelini, che, nel frattempo di gatte da pelare ne ha proprio tante. Fin troppe! Cos’è accaduto? Che il Tar del Lazio ha sposato le ragioni della famiglia Sensi con la quale Comune e Regione hanno da tempo un contenzioso in atto sulla quantità di acqua che alimenta da anni lo stabilimento delle Terme dei Papi. In sostanza, gli enti locali, chiedevano e chiedono un ridimensionamento dell’erogazione, mentre il gestore delle terme rivendica invece la possibilità, come da convenzione, di utilizzare, tutta la materia prima necessaria al fabbisogno dell’impianto. Il tribunale amministrativo ha sentenziato a favore dei Sensi che, automaticamente, adesso diventano i «Signori delle acque». Fino a prova contraria. Cioè fino a quando il Consiglio di Stato magari si pronuncerà in modo diverso, nel caso (non scontato) che Comune e Regione decidano di ricorrere in…appello.
Intanto, i Sensi potranno disporre completamente del patrimonio idrico di Viterbo e dintorni (circa 90 litri al secondo), potendo annullare, in teoria, tutte le eventuali iniziative di privati ad aprire nuovi insediamenti termali. Perché, è del tutto evidente, che nessuno andrà ad investire su un nuovo sito termale, consapevole del rischio di vedersi chiudere, da un momento all’altro, i rubinetti dall’azionista di maggioranza dell’azienda termale viterbese. Che in tempi lontani ha ottenuto di poter gestire per 20 anni il “serbatoio” e per 40 la struttura dei Papi. Una incongruenza – chiaro eufemismo – che soltanto la mente di un genio avrebbe potuto partorire e una classe politica, quanto meno miope, realizzare.
Altro che «Città termale». Un assessore regionale, evidentemente poco attento, commentando l’annuncio della Pisana sul via libera in Commissione Affari Produttivi, all’affidamento delle ex terme Inps a palazzo dei Priori, ha sottolineato candidamente: «E’ un passo avanti nel progetto della città termale». Quale? Esattamente il contrario, se è vero che la famiglia Sensi potrà disporre di tutte le risorse idriche – chissà per quanto tempo ancora – necessarie alla attività. Gli aspiranti imprenditori del termalismo (ex Oasi, gruppo Ciambella, sito delle Masse, ecc.) dovranno aspettare quanto meno che la partita venga definitivamente chiusa. E trascorreranno verosimilmente anni, vista la lentezza elefantiaca della italica giustizia. Si mettano l’anima in pace tutti i 25 soggetti che avevano presentato a palazzo dei Priori altrettante «manifestazioni di interesse» ad aprire delle spa, più o meno importanti, nel capoluogo e dintorni. Insomma, la città termale può attendere. O forse no. Perché la famiglia Sensi, alla quale è stato legittimamente riconosciuto il monopolio dell’acqua, potrebbe impegnare una parte delle proprie risorse – idriche e finanziare – per rilevare, ristrutturare e rilanciare il vecchio stabilimento ex Inps, attiguo a quello dei Papi, magari con una diversa destinazione d’uso. Ma questa è un’altra partita. Futuribile. Per ora la «Città termale» non c’è. Ed ha scarse possibilità di nascere. C’è la «Sensi city». Che piaccia o no.
Dura lex sed lex. O no?