L’elaborazione istituzionale e politica di Sturzo sono molto attuali: due le questioni, tra le tante che a lui possono ispirarsi, che stanno dentro l’attuale dibattito sulle riforme ed a ridosso di elezioni amministrative generali per il rinnovo dei Sindaci: l’indipendenza e la primazia delle istituzioni locali sull’agone politico; l’autonomia di esse all’interno dell’ordinamento.
Quando Sturzo dice che le insegne di appartenenza politico-partitica debbano restare fuori dal municipio, non credo voglia operare una distinzione morale o moralistica; non è la politica “sporca” quasi per definizione ed assonanza, che deve restare fuori dal tempio della municipalità, dove vi debba avere invece diritto soltanto l’aggregazione civica.
I partiti, essendo per definizione “parte” della sovranità popolare, devono trovare un limite, un confine di azione ed intervento con il campo che essa stessa ha contribuito a creare, quello delle istituzioni civiche.
In queste, nelle regole che le governano, nelle dinamiche che le interessano, nella attività amministrativa che ne deriva, si dispiega la piena sovranità ed i diritti dei cittadini del Comune, stavolta non di una parte, ma di tutti.
E’ chiaro che per le altre istituzioni non locali la prerogativa di legiferare, anche senza vincolo di mandato, porta direttamente ai riferimenti politici, ideologici, organizzativi e gerarchici propri dei partiti; sono i contenuti ad essere sostanzialmente diversi: da una parte la funzione legislativa dall’altra quella amministrativa.
Quest’ultima attiene in modo quasi esclusivo alla gestione che a sua volta riguarda la capacità pratica di impostare e risolvere problemi pratici; ed anche quando si è alle prese con scelte attinenti temi sensibili ed etici, le soluzioni da adottare sono quasi sempre trasversali agli schieramenti politici.
Quindi una volta che la politica dei partiti ha dato soffio vitale alle istituzioni locali, attraverso competizioni elettorali, assise congressuali, accordi, sarebbe bene che nei confronti di esse eserciti una rispettosa vicinanza, una trasparente dialettica, riservando ad essa il ruolo precipuo dell’elaborazione ed approfondimento delle grandi questioni ordinamentali, di indirizzo per un migliore governo locale, nonché di controllo sullo svolgimento del programma condiviso.
L’altra grande questione che Sturzo ci suggerisce è quella dell’autonomia dell’ente locale nell’ordinamento.
Gli oltre 8000 Comuni italiani hanno, insieme a quella della Chiesa, una storia millenaria; non starò a ripetere analisi ed elaborazioni già sviluppate sulla loro importanza strategica per il destino stesso della nazione.
L’art114 della Costituzione ha operato un avanzamento decisivo in proposito ponendo sullo stesso piano istituzionale i Comuni con lo Stato e le Regioni; incredibilmente da ciò è derivato l’attacco durissimo a cui da anni i Comuni sono sottoposti, portato sin nella sua stessa ragion d’essere: ridurli a centro di costo, piuttosto che a luogo fisico e virtuale in cui l’individuo trova la propria identità, coltiva i propri valori, sviluppa la sua vita di relazione; pensando di risolvere i problemi dell’adeguatezza della funzione amministrativa, con aggregazioni obbligatorie o quelli dei costi della politica attingendo nel comparto più povero di risorse; individuando in altri enti i destinatari di funzioni proprie di Comuni ed imponendo patti di stabilità che “destabilizzano” o creando nuovi centralismi a livello regionale: tutto ciò è semplicemente sbagliato. E’ come segare il ramo sul quale si è seduti.
Bisogna subito ricominciare dall’autonomia; bisogna rimettere in sesto il “potere locale” con sindaci preparati e motivati che abbiano un forte mandato come quello che deriva da elezioni primarie; bisogna fare del numero dei Comuni, e specialmente di quelli più piccoli, una ricchezza ed una forza in quanto custodi di folclore, tradizioni, gusti, sapori e saperi: abbiamo bisogno, soprattutto oggi, del pensiero di Sturzo e soprattutto del suo esempio di rigore ed intransigenza.
Chiucchiurlotto 1.2.14
Ancora Sturzo? Caro Chiucchiurlotto, questi qua, renziani compresi, al massimo arrivano al Peppe Bucìa-pensiero.