Cosa ci fanno tanti carciofi appaiati a Palazzo dei Priori? No, non stanno approvando il regolamento per le coppie di fatto. Come avranno pensato i più maligni. Son semplicemente lì in vendita. Sistemati a dovere nelle cassette. Vicino gli asparagi, i mandarini e altre mille bucoliche risorse di madre Terra. Tutte parcheggiate nella piazza più bella et importante che ci sia a Viterbo.
Questa è la vera foto dell’Annunziata, signori. La fiera medievale (non negli stand, ma nelle meningi) cultural-viterbese. La più sensazionale dell’anno, insieme a quella di Santa Rosa. L’evento che si attende per 364 giorni col medesimo entusiasmo dell’ingrossamento della prostata o della scesa della cataratta.
E come da tradizione piove per tutto il dì. Rovinando una festa che già di per se non parte sotto la migliore delle stelle. Forse il ripetersi degli acquazzoni vorrà pur dire qualcosa. Sarà un segno degli dei? Una rivendicazione della decenza invocata da Giove pluvio? Comunque. I fedelissimi non mancano mai. Quattrocentosettanta furgoni giunti all’ombra della Palanzana dal grande sud. Con l’unico scopo di fornire al passeggiatore rassegnato ricambi per il Folletto (che non è una creatura dei boschi, bensì una scopa a motore). Il pezzo forte di codesti ambulanti risiede nel “ricondizionato”. Ossia con una cifra modica ci si aggiudica un succhia-polvere abbandonato da casalinghe all’avanguardia desiderose dell’ultimo modello. Revisionato e tirato a lucido. N’affaretto, si direbbe in gergo tecnico. Poiché tali mezzi infernali costano come una Golf cinque porte full optional e tettino apribile.
Parallelamente a cotanta tecnologia ecco pure quelli coi famigerati cesti di lupini, noccioline, mosciarelle e quanto altro al mondo si possa seccare. La sosta da “Francone: olive, olivette e olivone”, è d’obbligo al pari di una schiacciata di sfere al Toro quando si capita per il corso di Milano. E poi, più in la, spunta il fascino dell’imprevisto. L’articolo che non ti aspetteresti mai. In mezzo a molti (troppi) emblematici spazi vuoti. “Frutta esotica e anguilla marinata”. In un solo banco. Che culo. Beato chi c’è inciampato, anche per sbaglio.
Ma il tour dell’odore e dell’orrore non finisce qui. Perché tra magliette improponibili, mutande ascellari, pentole, vimini, qualche caciotta, vasi, salvadanai, cinesate, palloncini di peppepig, indianate, e una brancata di partenopei monotematici (calzini a profusione, manco c’avessimo otto zampe come i polipi) troneggia lui. L’uomo che parla con la tazza. Quelle della pipì e della popo’. Issata al centro del suo pianeta. Il tipo ha pure il microfono. Col quale predica nel vuoto, o al nulla (se preferite), i benefici del suo capolavoro. No, non è ubriaco (altrimenti sarebbe abbracciato al sanitario). Vende solo un affaretto che toglie il nero dagli interstizi del cesso. Ma nessuno è pronto a recepire il messaggio. Il verbo si perde nell’atmosfera. E la cruda realtà e’ che non siamo ancora pronti per un prototipo di tale levatura. Preferiamo la porchetta. Di Ariccia, di Vallerano, umbra o provenienza priva. Che finché si mangia non occorre usare il cervello. Non serve pensare. Peccato solo che per un giorno non si possa parcheggiare in centro. Altrimenti sarebbe veramente tutto perfetto.
La kultura ai tempi della nauseabonda kaffeina e del voltagabbanissimo Philip Red from Trieste.
cosa c’entri caffeina con questo articolo devo ancora capirlo. Certo, finchè il disprezzo per un evento che prova a fare cultura sarà tale (e non mi importa se Rossi è simpatico o meno, e neppure mi importa la sua appartenenza politica…), e invece l’aspettativa e quasi l’esser giulivi per un orrore che l’articolo di Mecorio ben descrive sarà altrettanto forte, dubito che Viterbo uscirà mai dalla sua sonnecchiosa e noiosa e annoiata quotidianità.
Continui a meditare, cara valentina, prima o poi lo scoprirà.