Una Pasqua così tranquilla erano anni. Già, questi di solito erano giorni bui per il calcio viterbese. Un anno fa, con la Gialloblu in agonia, dirigenti latitanti, politici arroganti – si era in piena campagna elettorale – che promettevano di salvare tutto e che alla fine non salvarono niente, tifosi che mettevano mano al portafogli per pagare vitto e alloggio ai giocatori. E prima ancora, nelle stagioni precedenti, questo era il periodo della consapevolezza: Viterbese neanche qualificata ai playoff, si prospettava l’ennesima estate lunga e tormentata, mentre nel resto d’Italia le squadre lottavano per un traguardo.
Oggi invece è una Pasqua dolcissima. Vissuta da primi della classe, con quel pizzico di arroganza che la piazza si merita, dopo anni di pesci in faccia e prese in giro. Per una volta quelli forti sono i leoni, e dispiace per chi rosica, per chi s’indigna, per chi ancora ci crede. Non c’è trippa per gatti, semmai manzo per leoni: a quattro giornate dal termine è questione di tempo e pazienza, per rispolverare quelle porchette da troppo tempo finite in soffitta.
L’epica rimonta di Soriano ha dimostrato che la Viterbese è pronta a vincere. Finalmente. Dopo una stagione in cui i dubbi non erano mancati: “Questa squadra non ha le palle”, “Per trionfare in Eccellenza bisogna giocare sporco, mica ricamare”, “I Camilli mettono troppa pressione dentro e fuori gli spogliatoi”. Fantasmi che avevano preso vita quasi definitivamente dopo la disfatta di Frascati, nella finale di Coppa Italia perduta contro una squadretta della campagna romana, e poi dopo il controsorpasso del Rieti. Ma erano tutte balle.
E’ bastato l’arrivo di un allenatore “normale”, senza manìe di protagonismo né interessi corporativi, per rimettere a posto le cose, e i valori tecnici. Già, questo Attilio Gregori dovrebbe godere di maggiore considerazione: è uno che parla poco, fa scelte tattiche di buonsenso e non troppo complicate, e ha anche quella giusta dose di fortuna che non guasta mai. Oltretutto: riesce con naturalezza in un ruolo – quello di allenatore di una squadra di Camilli – dove hanno fallito anche i colleghi più celebrato, da Allegri a Giannini a Moriero.
Poi naturalmente c’è il materiale umano, merce di prima qualità – e si sapeva – ma anche piuttosto disponibile a calarsi nella mentalità dell’Eccellenza, tranne qualche rara eccezione. Da Vegnaduzzo a Giannone, dal leader Federici al provvidenziale Polani fino a Pero Nullo, nessuno gioca con la puzza sotto il naso, e questo è bello da vedere e utile ai fini dell’Obiettivo finale. In più, ecco un ambiente che ha ritrovato la gioia di vivere (il calcio), di sostenere i colori fino alla fine, di crederci. Un ottimismo di fondo che ha scalzato quel pessimismo che, fino ad un anno fa, era – insieme all’autolesionismo alla Tafazzi – la specialità della casa. Merito della famiglia Camilli, certo, che ci ha messo competenza, entusiasmo e soprattutto quattrini (“Avete speso un milione pe’ sta squadra”, ha gridato domenica un scorsa un tifoso sorianese evidentemente poco ferrato in economia aziendale). Il presidente Vincenzo è pronto a guardare oltre, più su e ancora più in alto.
Ma prima c’è da chiudere la pratica. Dopo la pausa per le feste, arriverà il Cerveteri, squadra che deve salvarsi e che è guidata da quello Stefano Di Chiara che ha qualche conto da regolare con Viterbo (e viceversa), dove è stato allenatore ai tempi della retrocessione in serie D. Poi, il 1 maggio, si va a Rieti, nella speranza che la trasferta/scampagnata non sia vietata per ragioni di ordine pubblico. Quindi, ancora al Rocchi, per un altro derby dal sapore antico, col Civitavecchia: una data che potrebbe tornare ad essere scritta in caratteri dorati nella storia gialloblu. Ultima tappa a Villanova, quando però potrebbe essere tutto a posto. Nell’attesa, i tifosi si godano gli agnelli della migliore Pasqua della loro vita, prima di assaggiare la Porchetta della Vittoria.