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Cara Viterbo, torna il libro di Sandro Vismara

Sandro Vismara con Gian Tommaso Scarascia Mugnozza

Sandro Vismara con Gian Tommaso Scarascia Mugnozza

E’ arrivata in libreria la seconda edizione del volume “Cara Viterbo. Aspetti, avvenimenti e personaggi della Tuscia dal 1945 al 1985” di Alessandro (Sandro) Vismara (pp. 348), ristampata per i tipi della Union Printing spa.

Nato il 18 aprile 1919,  morto il 4 aprile 1987, per quasi mezzo secolo ha raccontato Viterbo, riversando su oltre 15 mila articoli la vita quotidiana del capoluogo e delle terre del Patrimonium di San Pietro, intrecciando nei suoi articoli cronaca, storia, personaggi, curiosità, minuzie, ma anche impegno civile testimoniato in «riflessioni e considerazioni di interesse individuale e collettivo».

Nella sua poliedrica attività (docente di materie letterarie al Magistrale S. Rosa, corrispondente via via del Messaggero, del Tg regionale della Rai e dell’Ansa,  direttore di “Biblioteca&Società” etc.), Vismara ha assegnato un posto d’onore al lavoro di cronista.

E’ per questo che, in occasione dei settant’anni dalla Liberazione di Viterbo e della Tuscia, pubblichiamo un brano dell’articolo “Nove giugno 11944: una jeep davanti alla prefettura”, che Vismara stese sul Messaggero il 7 giugno 1946.

“(…) All’alba del nove si videro pattuglie di soldati stanchi e impolverati come i tedeschi, ma che tedeschi non erano, anche se dicevano “yeah”, perché regalavano “Camel” e cioccolata e guidavano “paesà” mentre cercavano le mine. Gli ultimi tedeschi se ne erano andati durante la notte dopo aver ucciso alcune persone che volevano impedire loro di saccheggiare le proprie case.

Qualche ora più tardi una Jeep trovava a stento una strada tra i cumuli delle macerie e si fermava davanti al palazzo della prefettura dove fino a pochi giorni prima aveva abitato il capo della provincia nazi-fascista.

Ne scendevano il capitano John Kane, di Scotland Yard, e il sergente italo-americano Antony Lancione, che prendevano possesso del palazzo della prefettura per conto del governo militare alleato.

Era la Liberazione, la fine dell’incubo dei bombardamenti, ma la guerra aveva lasciato tracce incancellabili sulla nostra città: 600 case di abitazione civile, il 20 per cento circa di un’area complessiva di 100 mila metri quadrati, erano state completamente distrutte, altre 300 gravemente danneggiate e 1.500 avevano subito danni più leggeri.

I dati per gli edifici pubblici che, come i precedenti, prendiamo da una relazione dell’ufficio tecnico comunale, sono i seguenti: totalmente distrutti, uffici 1, chiese 2; gravemente danneggiate, uffici 5, caserme 4, ospedali 1, chiese 10. Inoltre erano stati più o meno danneggiati 4.000 metri quadri di pavimentazione stradale e metri 1,350 di fognature.

Ma i viterbesi che con negli occhi ancora l’orrore dei bombardamenti, tornavano la mattina del 9 giugno alle oro case, non pensavano al passato, ma al futuro.

Ognuno cominciava a rimuovere le macerie della propria casa ed a scegliere i mattoni per ricostruirla senza curarsi del caldo e della polvere.

Il ciclone erano passato e, e che se la morte era ancora nell’aria e sotto i muri crollati, la vita tornava lentamente a fiorire”.

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