Il palazzo che ospita le sale del Gran Caffè Schenardi risale al XV secolo, prima di proprietà di Girolamo da Carbognano, segretario del comune dal 1489 al 1493, poi sede del banco e fondaco dei Chigi fino al 1528. In questo periodo subentrarono nella proprietà del palazzo e nella gestione del banco i Boninsegna ed i Bonelli, talmente collegati da dare luogo ad un unico stemma bipartito visibile ancora oggi sulla facciata. Nei secoli successivi la proprietà passò a diverse famiglie viterbesi fino al 1798, anno in cui il romano Giuseppe Cassani, appaltatore della posta, lo acquistò e lo trasformò in Albergo Reale.
Le vicende dello storico Caffè iniziarono nel 1818 quando Raffaele Schenardi acquista il già esistente Albergo Reale, dotandolo di un ambiente di nuova concezione: il “Caffè”. Il fenomeno si diffonde nelle maggiori città italiane e muta le consuetudini di convivialità e di incontro: dai salotti privati il dibattito intellettuale e politico si trasferisce anche in ambienti pubblici così i Caffè si renderanno testimoni di fatti, avvenimenti, amori, segreti e complotti. La metà del XIX secolo coincide con la fervente attività dei moti risorgimentali che agiteranno le menti e gli animi di coloro che vollero l’Italia unita. Dal 1848 i locali del Gran Caffè Schenardi ospiteranno le riunioni del “Circolo popolare di Viterbo”, che aveva lo scopo di diffondere le notizie legate agli avvenimenti della politica in Italia. L’attività del circolo prevedeva la lettura dei libri e di giornali al fine di promuovere il miglioramento civile, morale e politico del popolo. L’elaborazione e la diffusione delle idee liberali trovò come luogo ideale locali come il nostro Caffè.
Nella prima metà dell’800 i numerosi rapporti della polizia locale forniscono indicazioni sui frequentatori del Caffè: non solo rivoluzionari fomentatori, “anarchici e demagoghi” come vengono definiti, ma anche gli stessi ufficiali pontifici e delle guarnigioni francesi preferiscono il Gran Caffè Schenardi agli altri luoghi di ritrovo cittadini per la qualità del servizio, la riservatezza ed eleganza del locale e, non minore per l’importanza, la convenienza dei prezzi. Per soli tredici baiocchi, nel 1851, Raffaele Schenardi offriva ai suoi clienti un menù completo: “Una bona minestra, lesso, e due altre pietanze con pane, vino, frutti e formaggi”. Raffaele Schenardi, il suo locale, e i suoi avventori vennero tenuti sotto controllo con continue “incursioni” per verificare che l’orario di chiusura non superasse la mezzanotte, che all’interno si svolgessero attività lecite e non sovversive, ma il Caffè mantenne sempre la sua vitalità ed il suo prestigio.
Nel 1855 l’aspetto del Caffè mutò radicalmente grazie all’ingegno e alla maestria dell’architetto romano Virginio Vespignani (1808-1882) e alla vigile direzione del nuovo committente Vincenzo Schenardi, che lo rese uno tra i Caffè storici più belli d’Italia. Il locale, così come venne ammirato in passato, rispetta nelle forme sobrie ed eleganti le scelte dell’architetto; lo spazio è scandito da due navate con volte a crociera sorrette da otto colonne, la fuga prospettica è arricchita dal trionfo dei contrasti bianco e oro degli stucchi della galleria, e in tutta la sua ampiezza gioca nell’alternanza di nicchie che ospitano statue allegorico-mitologiche e nicchie dorate giunte appositamente da Parigi. Ad esaltazione dell’atmosfera contribuì il particolare sistema di illuminazione e gas, che sapientemente distribuito inondava di luce tutto il locale amplificando l’effetto scenografico.
In ricordo del cavalier Vincenzo Schenardi rimane un mezzo busto realizzato dallo scultore Antonio Filippo Cifariello (1864-1936) artista incline alla ritrattistica, socio del Romano circolo artistico internazionale, autore di numerosi monumenti tra i quali quello di Giuseppe Mazzini a Molfetta, di Saffi a Forlì, del Re Umberto I a Bari. Il 1855 segna l’inizio delle serate mondane, dei tavoli all’aperto nella piazza delle Erbe, della frequentazione degli uomini più illustri della città, sia per godere della calda ospitalità ma anche e soprattutto per assaporare le numerose specialità offerte dalla casa Schenardi. Il menù era arricchito dalla prelibatissima pasticceria alla gelateria, per la quale ogni anno veniva fatto arrivare da Napoli il famoso gelatiere Ciro Caivano, dalla bottiglieria alla confezione delle tipiche carote viterbesi condite con un particolare bagno aromatico commercializzate in vasetti di ceramica, infine in anni più recenti l’originale aperitivo 103, realizzato in occasione dei 103 anni di fondazione del Caffè.
Molti furono i personaggi che ebbero il piacere di gustare le specialità Schenardi: il Papa Gregorio XVI, per il quale durante il soggiorno viterbese (nel 1841) venne allestito un suntuoso banchetto, il principe di Napoli, futuro re d’Italia Vittorio Emanuele III, ospitato a Palazzo dei Priori, il 21 luglio 1890 dove fu servito in suo onore un pranzo opera dell’indimenticabile Grispino Schenardi: ostriche, zuppa, pesce, filetto di bue, galatina, asparagi, punch spongato, piccioni, insalata alla russa, gelato, frutta, gateau, dessert. Vini: Capri, Bordeaux, Champagne.
In occasione delle visite di rappresentanza dei reali o personalità eminenti (Giuseppe Garibaldi, Guglielmo Marconi, Vittorio Emanuele di Savoia conte di Torino, la regina Madre Margherita) il comune di Viterbo si affidava alla maestria culinaria degli Schenardi. Citiamo alcuni personaggi che sedettero al Caffè, vi riposarono, scrissero versi e godettero della sua incantevole atmosfera: il regista e attore Orson Welles, che a Viterbo ha girato il film Otello, Alberto Sordi e Federico Fellini durante le riprese de I vitelloni, gli scrittori Orio Vegani e Bonaventura Tecchi, Mussolini, il re Gustavo Adolfo di Svezia insieme alle principesse Margareth e Cristina durante i lunghi soggiorni nella Tuscia, dedicati alle campagne di scavo archeologico. Il 31 dicembre del 1980 il Ministero dei Beni Culturali Ambientali, interviene con un decreto dove si dichiara il Gran Caffè Schenardi di particolare interesse storico e artistico, sottoponendolo alle disposizioni di tutela previste dalla legge n. 1089 del 1° giugno 1939.