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Ratzinger, quel giorno di tre anni e mezzo fa

vt1vt2Questa è la storia di un Papa già passato alla storia, di una città e di tre conclavi sparsi nei secoli, uno dei quali ancora da celebrare. Questa è la storia di Benedetto XVI e dell’antica città di Viterbo, tra fede, rispetto e qualche coincidenza che mette i brividi.

vt3vt4Settembre 2009, è domenica sei, le nove di mattina. Sul prato verde dello stadio Rocchi s’appoggia l’elicottero. Ne scende Joseph Ratzinger, tedesco successore di Pietro, al quarto anno di pontificato. Lo accolgono le autorità statali (il devotissimo sottosegretario Gianni Letta in primis), comunali ed ecclesiastiche. Dopo i saluti di rito, la Papamobile percorre bianca e blindatissima le vie che portano al centro storico. La prima tappa è piazza San Lorenzo, il palazzo papale, da ottocento anni orgoglio e vanto della vecchia urbe. E qui, condotto da monsignor Lorenzo Chiarinelli, Benedetto visita questo luogo pieno di storia, soffermandosi in particolare nella sala del conclave. Dove si tenne l’elezione papale più lunga della storia: tre anni  (1268-1271) di discussioni e trattative, di sotterfugi e veti incrociati tra i 19 cardinali e i rispettivi grandi sponsor. Raccontano gli annali che fu merito dei viterbesi se la pantomima arrivò ad una conclusione: arrabbiati ed esausti per la lunga attesa, i cittadini presero i prelati per fame, e poi li minacciarono scoperchiando proprio il tetto di questa sala. Eccola, la prima coincidenza: chissà se Ratzinger, pensando a quell’evento storico, che diede un senso e una ragione al termine stesso conclave (clausi cum clave) non sia tornato anche ai giorni dell’aprile 2005, quando da un altro conclave – più numeroso, più globalizzato, ma sempre riservatissimo – uscì fuori un nuovo papa, lui, Joseph Ratzinger, Benedetto XVI. E uno scrittore con parecchia fantasia e senza troppi scrupoli potrebbe immaginare persino che i primi dubbi sul suo futuro abbiano attraversato la mente del Santo padre proprio in quella mattina viterbese di fine estate.

vt5vt6Poi, usciti dal palazzo papale, ci furono altri discorsi, gli applausi dei fedeli (non tantissimi in verità) e quindi la visita al monastero di Santa Rosa. L’incontro con le clarisse, la visita al corpo incorrotto della santa bambina, l’abbraccio coi facchini che avevano brigato tanto – di fuori sulla scalinata – per incontrare il papa tedesco così come avevano fatto, 25 anni prima, con quello polacco.

La messa si tenne a valle Faul, davanti a diecimila persone e a tutto il clero provinciale. Per celebrarla, Benedetto XVI si arrampicò su un imponente palco di legno costruito per l’occasione e che poi, passata la festa, rimase lì, giocattolo inutilizzato per giganti, fino alla scorsa primavera. “E’ stata una cerimonia esemplare e composta”, dirà il Papa. Poi il pranzo a La Quercia: pasta corta al pomodoro, arrosto, contorno e millefoglie come dessert, con il papa a bere soltanto aranciata.

vt7vt8Nel pomeriggio, l’addio. Di nuovo allo stadio, di nuovo in elicottero, decollo in direzione Bagnoregio, la vera meta della prima e unica visita pastorale nella Tuscia. Già, perché Ratzinger – da grande studioso di San Bonaventura – aveva voluto visitare proprio i luoghi di nascita del filosofo. Anche qui, bagno di folla, tanti giovani, organizzazione perfetta. In serata, il ritorno in Vaticano sorvolando il Tevere.

Questo, tre anni e mezzo fa. Oggi Benedetto XVI si è dimesso, con un gesto che ha suscitato stupore e mille interrogativi nel mondo cattolico e non solo. La storia della Chiesa va avanti. A breve ci sarà un altro conclave per eleggere un nuovo Papa. Ed ecco la seconda coincidenza di questa storia.

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