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Russofilia, Occidente e antiromanesimo

Un contributo di Roberto de Mattei sull'attualità

Lo storico Roberto de Mattei

Redazione

Viterbo,22.3.23

Pubblichiamo un interessante articolo di Roberto de Mattei recentemente pubblicato su CR – Corrispondenza Romana- .

“Nel 2004, in un dialogo con il presidente del Senato Marcello Pera, l’allora cardinale Ratzinger individuava come un male culturale del nostro tempo l’odio di sé che ha l’Occidente (in Senza Radici; Europa, relativismo, cristianesimo, Islam, Mondadori, Milano 2004).

Un’espressione di quest’odio verso l’Occidente è la “russofilia”, una tendenza intellettuale che il 14 marzo 2023 è divenuta un’organizzazione internazionale, con la presentazione a Mosca del “Movimento internazionale dei russofili”. Tra i 120 rappresentanti di 46 Paesi, le cronache riportano la presenza di un’italiana, la principessa Vicky (Vittoria) Alliata di Villafranca, conosciuta per il suo vivo interesse per il mondo islamico. Un altro noto personaggio, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, ha rivolto ai partecipanti al convegno un caloroso messaggio, affermando, tra l’altro, che «la Federazione Russa si pone innegabilmente come ultimo baluardo della civiltà contro la barbarie». Il ruolo della Federazione russa «sarà determinante» «in un’Alleanza Antiglobalista che restituisca ai cittadini il potere che è stato loro sottratto, e alle Nazioni la sovranità erosa e ceduta alla lobby di Davos». 

Come ogni errore, la russofilia parte da una verità: la decadenza dell’Occidente, che ha voltato le spalle alla sua storia e ai suoi valori. Il Magistero della Chiesa cattolica ha indicato come responsabile di questo disfacimento un nemico che «negli ultimi secoli ha tentato di operare la disgregazione intellettuale, morale, sociale dell’unità dell’organismo misterioso di Cristo» (Pio XII, Discorso del 12 ottobre 1952 agli uomini di Azione Cattolica). Il prof. Plinio Corrêa de Oliveira, nel suo libro Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, ha individuato le origini della disgregazione in una catena di errori che, sotto l’impulso delle passioni disordinate, hanno aggredito la civiltà cristiana a partire dal XV secolo e oggi sono penetrati all’interno della Chiesa stessa.

Un cattolico non può che combattere questo processo rivoluzionario e desiderare con tutto il suo cuore la restaurazione di un Occidente cristiano che, assieme a un Oriente convertito alla vera Chiesa, formi un’unica e universale civiltà sotto l’Impero di Cristo. L’errore consiste nell’immaginare che lo strumento di questa restaurazione possa essere un Paese che non è ancora uscito dal comunismo e che professa una religione politica fortemente antioccidentale e antiromana.

L’Occidente, moralmente e intellettualmente corrotto, esercita oggi una leadership politica ed economica nel mondo. I russofili non combattono la corruzione intellettuale morale dell’Occidente, ma la sua leadership geopolitica. Essi non vogliono che l’Occidente si purifichi dei suoi errori, tornando alle proprie radici, ma che scompaia, o venga radicalmente ridimensionato. Ciò che i russofili chiamano mondo “multipolare” è la scomparsa del ruolo egemone dell’Occidente, la fine di una civiltà “eurocentrica”. E poiché la natura aborre il vuoto, essi sanno e desiderano che alla guida dell’Occidente si sostituisca quella di un nuovo soggetto internazionale: l’Impero eurasiatico.

Dietro ogni realtà geopolitica c’è una visione del mondo che, nel caso dei russofili, è il “nazionalcomunismo”, o “rossobrunismo”. David Bernardini, in un sintetico studio dedicato a Nazionalbolsevismo. Piccola storia del rossobrunismo in Europa (Shake, Milano 2020) ha ripercorso la storia di questa corrente ideologica, risalendo alla Repubblica tedesca di Weimar, che ebbe il suo primo teorico in Ernest Niekisch (1889-1967), uno dei principali protagonisti della Rivoluzione sovietica bavarese nel 1919.

Niekisch e i nazionalbolscevichi ammiravano l’Unione Sovietica di Lenin e Stalin e celebravano il lavoratore sovietico non contaminato dalla civilizzazione occidentale. Il loro nemico era il sistema internazionale del trattato di Versailles, espressione della volontà di dominio dell’Occidente. Il rifiuto dell’Occidente si legava in loro al rifiuto del Romanismus, cioè della romanità latina e occidentale. Europa, romanità, cattolicesimo, diritto romano, Occidente sono per Niekisch tutte espressioni di un unico universo, nemico della Germania. L’alleanza con la Russia bolscevica era considerata necessaria per salvare la cultura tedesca dal dominio della civilizzazione occidentale.

In quegli stessi anni la tesi centrale dell’eurasista Nikolaj Trubeckoj (1890-1938), professore di lingue all’Università di Vienna, era che il popolo russo, come i popoli orientali, soffriva «sotto l’opprimente giogo dei romano-germanici»; un giogo che avrebbe potuto essere distrutto solo se la Russia si fosse messa alla testa di una insurrezione planetaria con l’obbiettivo di bloccare il processo di occidentalizzazione. Doveva, in altre parole, espellere dal suo seno ciò che l’Europa – «male assoluto» – aveva depositato e lanciare una chiamata rivoluzionaria alle armi contro le potenze occidentali «per cancellare dalla faccia della Terra tutta la loro cultura» (N. Trubeckoj, L’Europa e l’Umanità, Einaudi, Torino 1982, pp. 66-70).

Stalin sembrò impersonare il nazionalbolscevismo, soprattutto con la “grande guerra patriottica” del 1940-1945, ma la destalinizzazione e il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 rimescolarono le carte. Nel 1993 nacque il Partito nazionalbolscevico russo fondato da Eduard Limonov (1943-2020) e Alexander Dugin, entrambi figli di funzionari del KGB, con l’obiettivo della creazione di un vasto impero russo da Vladivostok a Gibilterra. Nemici giurati erano gli Stati Uniti («il grande Satana») e i globalisti d’Europa uniti nella Nato nelle Nazioni Unite. Nel 1998 Dugin e Limonov si separarono. Dugin fondò il Partito Eurasiatico, avvicinandosi a Putin, mentre Limonov, passò all’opposizione e venne arrestato nel 2007, ma poi nel 2014 appoggiò la strategia politica di Putin in Ucraina.

Per giustificare l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022, Vladimir Putin si è richiamato più volte all’ideologia del “mondo russo” (Russkiy Mir), che cerca di aggregare tutti i russofili del mondo. Il 21 luglio 2007 con un suo decreto è stata costituita la Fondazione Russkiy Mir, presieduta da Vyacheslav Nikonov, nipote e biografo di quel Vjačeslav Molotov, che fu artefice con Joachin Robentropp del patto nazi-sovietico del 1939. Il “mondo russo” avrebbe un centro politico comune, il   Cremlino, una lingua comune, il russo, e una Chiesa comune, il Patriarcato di Mosca, che lavora in “sinfonia” con il presidente della Federazione russa Putin. L’orizzonte “antiglobalista” dei russofili è questo.

In Italia, la filosofia rossobruna è promossa da Diego Fusaro, un intellettuale neomarxista amato anche da alcuni cattolici tradizionalisti per il sostegno dato ad Andrea Cionci ed Alessandro Minutella, che non riconoscono la validità del pontificato di papa Francesco.  «Rossobruno – ha affermato Fusaro – è chiunque che, consapevole che l’antagonismo odierno si basi sulla verticale contrapposizione tra servi e signori e non su vane divisioni orizzontali, oggi rigetti destra e sinistra» (in Ticinolive, 20 marzo 2017). Rossobruni, nazionalcomunisti, russofili, divisi su molti punti, sono uniti nel rifiuto della dimensione romana della Chiesa cattolica e dell’Europa cristiana. La confusione regna e le parole del cardinale Ratzinger acquistano attualità: «C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più sé stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è in grado più di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se vuole davvero sopravvivere»(Senza radici, cit.,pp.70-71).”

Roberto de Mattei

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