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Giornata del ricordo anche per Giulio Mancini

Il Comitato 10 febbraio presenta due iniziative per ricordare i martiri d'Istria e Dalmazia

Silvano Olmi e l'assessore Delli Iaconi

Silvano Olmi e l’assessore Delli Iaconi

Giulio Mancini aveva fatto la terza elementare. Sapeva leggere e scrivere. L’avevano arruolato nei carabinieri, un’arma come un’altra in quegli anni di guerra. Da Civitella d’Agliano, dove era nato il 19 settembre 1922 da papà Virgilio e mamma Emma, lo avevano spedito lassù nel Nord est, a Gradisca d’Isonzo: ordine pubblico (e ce n’era bisogno in quei mesi turbolenti), polizia militare, controlli di confine. Con la resa, l’Italia stava cedendo l’Istria e la Dalmazia, due pezzi del suo territorio, alla Jugoslavia, guai ai vinti. E mentre gli italiani cercavano di scappare di qua da quella che già allora era ‘’una cortina di ferro’’ (copyright di Zinnie Churchill), impazzava la pulizia etnica degli slavi, dei titini, dei partigiani rossi.

Quella sera del 24 giugno il viterbese Mancini aveva chiesto il permesso al suo comandante di arrivare fino a Gorizia – città che era spaccata dal confine -, forse per andare a recuperare qualche oggetto personale che aveva lasciato lì. Riprenderselo, prima che fosse troppo tardi. Qualcuno lo notò. Lo seguì. Lo prese. Lo portò in un luogo appartato e lo torturò. Poi lo abbandonò in via del Poligono, zona le Fornaci, dove fu ritrovato soltanto nella tarda mattinata del giorno successivo, il 25. Aveva un buco in testa, gli avevano sparato, un’esecuzione. ‘’Che oggi, grazie ai documenti ufficiali, possiamo attribuire con certezza ad una banda di slavi comunisti, una di quelle che seminarono morte e terrore in quegli anni presso la popolazione italiana’’, dice Silvano Olmi, segretario viterbese del Comitato 10 febbraio, organizzazione benemerita nata all’indomani dell’istituzione per legge della Giornata del ricordo.
Benemerita, perché si occupa di ricercare, ricostruire, ricollegare, la storia e le sue vittime, di dare un volto e una collocazione a tutti quelli che la guerra non dichiarata, la guerra etnica e civile in Istria e in Dalmazia, si è portata via. Quella tragedia definita per comodità ‘’delle foibe’’, dalle voragini calcaree e carsiche in cui venivano gettati i corpi – vivi o morti – degli italiani, ma che ha mietuto tanti morti anche con altri metodi, e il caso del civitellese è emblematico.

Si prendono tracce piccolissime, quasi invisibili, come nomi e date, documenti ufficiali appena desecretati, rapporti, ricordi di famiglia, passaparola vecchi di settant’anni, e si incrocia il tutto. Fino alla certezza della vittima: ‘’Perché senza conferme non ce la sentiamo di sbilanciarci, anche per rispetto nei confronti dei parenti’’, dice ancora Olmi. Così si è proceduto per identificare Giulio Mancini, l’ultimo di 14 viterbesi che hanno dato la vita lassù, lontano da casa, in una guerra della quale capivano poco, e che magari combattevano soltanto per dovere patrio, o peggio per costrizione. ‘’C’era Luigi Celestini, il primo che individuammo e al quale è intitolato il monumento fuori Porta Faul, in largo martiri delle foibe – spiega Olmi – e ci sono gli altri. Tutte persone semplici, manovali, artigiani. Molti dei quali spariti nel nulla, e neanche le loro famiglie avevano chiaro che fine avessero fatto, che fine tremenda’’.

foibeIl 10 febbraio si avvicina, e il Comitato ha definito il programma di commemorazioni viterbesi, patrocinate dal Comune. Il presidente Maurizio Federici e Olmi hanno organizzato per venerdì 5 febbraio un incontro da Schenardi (ore 18) con la presentazione del libro“Magazzino 18. Le foto”, Immagini e racconti degli Italiani d’Istria, di Fiume e della Dalmazia, scritto da Carla Isabella Cace e Jan Bernas, con prefazione di Simone Cristicchi ed edito dalle edizioni Fergen. Proprio sul Magazzino 18, il deposito nel porto di Trieste dove erano ammucchiati tutti i beni degli esuli istriani, Cristicchi aveva scritto e interpretato uno spettacolo teatrale che non poche polemiche aveva sollevato, specie da parte di quella sinistra dalla memoria un po’ troppo corta – e obnubilata – quando si parla di morti altrui. Il clou delle celebrazioni, invece, è per domenica 7, quando alle 10.30, da piazza Verdi, si muoverà un corteo che percorrerà via Marconi, piazza dei Caduti, via Faul fino appunto ad arrivare a largo Martiri delle Foibe. Dove verrà reso omaggio a tutte le vittime. ‘’Il corteo è aperto a tutti, senza divisioni né bandiere politiche. Basta un tricolore, o basta soltanto la partecipazione’’, ricorda Olmi.

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