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1986, la vera rinascita comincia allora

Racconti, storie, aneddoti: ai piedi di Gloria, si rivivono i Trasporti della Macchina

Il capofacchino Sandro Rossi con la consigliera Maria Rita De Alexandris

Il capofacchino Sandro Rossi con la consigliera Maria Rita De Alexandris

Eccola lì, Gloria che si staglia verso il cielo. Immobile e pure affascinante. E’ lo sfondo ideale per l’appuntamento con i Racconti sotto la Macchina: storie di Santa Rosa e del Trasporto narrate dai protagonisti. E’ la consigliera comunale Maria Rita De Alexandris, delegata ai rapporti con il Sodalizio, a fare da padrona di casa: “Sono loro la vera forza. Il Sodalizio lavora 365 l’anno sempre con entusiasmo e passione. Grazie di cuore perché siete il motore del Trasporto e della festa”, afferma con vigore a testimonianza di un affetto e di una vicinanza palpabili. Accanto a lei il capo dei cavalieri della patrona, Sandro Rossi che ribadisce un concetto più volte espresso: “Ma facchini non sono soltanto quelli che indossano la divisa: facchini sono tutti coloro che amano Santa Rosa e Viterbo”.

Il pubblico assiepato sulla scalinata del Santuario

Il pubblico assiepato sulla scalinata del Santuario

Si entra nel vivo della serata con il presidente Massimo Mecarini che sollecita i vari interventi. Claudio Graziotti, da tutti conosciuto come Lolli, potrebbe scrivere più di un libro con le sue memorie: “Sono entrato nel 1968 quando Volo d’angeli funzionava: si era fermata l’anno prima. Fu proprio in quel periodo che iniziarono le prove di portata e la simulazione del trasporto. Non come oggi, ma fu l’avvio di un approccio più professionale alla Macchina”.

Silvio Cappelli, appassionato collezionista e cultore della viterbesità, spinge per la realizzazione del Museo delle Macchine: “Conservo la fascia del servizio d’ordine del 1967 e anche frammenti del traliccio della Macchina realizzata da Paccosi: quando si farà il museo, andranno lì”. Poi un appello: “Nel 2017 saranno 50 anni dalla fermata e quindi immagino che qualcosa bisogna fare per ricordare quell’episodio…”. Mecarini annuisce, ma non si sbilancia.

L'imponenza di Gloria

L’imponenza di Gloria

Lorenzo Celestini è un pezzo importante della storia del Sodalizio: prima facchino, poi capo, poi presidente e soprattutto era il figlio del grande Nello. “Non ho vissuto la Macchina da bambino – attacca -. Nonostante mio padre, non ho ricordi precisi. Nel 1966 il mio papà era ricoverato alla Salus perché era stato operato di ernia: interminabile la fila di facchini che vennero a salutarlo in clinica perché lui quell’anno dovette dare forfait. Nel 1972 diventai addetto al trasporto: portavo un estintore. L’anno dopo, per caso, andai a vedere le prove di portata: il vocione di mio padre  mi costrinse a fare la prova. Feci il percorso, ma la cosa apparentemente finì lì. Qualche tempo dopo, mentre facevo il militare a Viterbo, tornai a casa e notai un’atmosfera strana: fu mia madre a dirmi che Peppe Zucchi voleva mettermi sotto. Percepivo che c’era stata baruffa tra i miei genitori… Mio padre, quando arrivò, mi spiegò soltanto che mancava una misura e che quindi dovevo andare a fare il facchino. Avevo 21 anni ed ero spalletta sinistra”. Poi un ricordo che fa venire la pelle d’oca: “All’angolo di Corso Italia con via della Volta Buia c’era uno sperone di peperino. All’ordine ‘sotto le teste’, eseguii ma il braccio mi rimase fuori. Non so chi, forse dall’alto, mi gridò di tirarlo dentro. Lo feci e dopo un secondo la Macchina andò a strusciare contro quello sperone…”

La prima volta di Massimo Mecarini risale al 1979: “Andai a fare la prova a Palazzo Borgognoni con gli zoccoli perché a quel tempo facevo il bagnino alle terme. Così la feci scalzo, ma Nello me la fece rifare il giorno dopo. Il mio terrore era che potessi partire per il militare prima del 3 settembre: quando arrivò la cartolina azzurra, ero preoccupatissimo. Per fortuna, ci pensò Santa Rosa: partii per Asti l’11 settembre. E’ proprio vero: l’esordio non si dimentica mai”. Tocca a
Sandro Rossi: “Andai a fare la prova a vent’anni circa: me la fecero rifare tre volte. Non ne seppi più nulla fino a quando, qualche giorno dopo, mi dissero semplicemente: vai a farti la divisa. Quando entri dentro, resti ammaliato e non ne esci più. E’ un’esperienza travolgente e coinvolgente”.

Angelo Russo è l’ideatore di Sinfonia d’archi, durata 7 anni, dal ’91 al ’98. “Quella Macchina, credetemi, è nata da un sogno in cui vedevo dei fori che poi trasformai in archi. Ho rivisto la mia macchina dopo 15 anni ed era rovinatissima: l’hanno rimessa a posto il facchino Veraldi con altri volontari. Ecco perché bisogna fare il museo. Non è facile, ma noi ci crediamo”.

Da sinistra, gli ex facchini Gianfranco Cencioni, Massimo Taratufolo e Claudio Graziotti, il popolarissimo Lolli

Da sinistra, gli ex facchini Gianfranco Cencioni, Massimo Taratufolo e Claudio Graziotti, il popolarissimo Lolli

L’architetto Marco Andreoli, con i colleghi Lucio Cappabianca e Gianni Cesarini, ideò la Macchina che entrò nel terzo millennio: “Per me l’emozione più grossa è stata vivere la festa insieme ai facchini. Con due momenti particolari: il discorso di Nello al bosco (una scossa fortissima) e poi l’arrivo a Fontana Grande con le facce dei facchini che cambiavano mano a mano che ci avvicinavamo a San Sisto”.
Chiusura con la testimonianza di due facchini di lunghissimo corso. “Entrare – sottolinea Gianfranco Cencioni – è difficile, ma uscire lo è ancora di più. Quando fu deciso che a 60 anni bisognava lasciare, fui il primo ad incappare nella nuova norma. Dopo l’ultima salita verso il santuario mi sembrava che il mondo mi cascasse addosso, ma ho continuato a lavorare intorno alla Macchina”. Massimo Taratufolo ripercorre i terribili momenti del 1986 quando la Macchina di Socrate Sensi rischiò di cadere: “Ce ne eravamo accorti subito che era pesantissima, circa 90 quintali. Facemmo uno sforzo sovrumano per arrivare a Piazza del Teatro. Alcuni di noi volevano fermarsi, ma ci facemmo forza e andammo avanti. Dopo la salita, cominciò a penzolare da una parte, poi dalla parte opposta. Fu Nello a salvarci perché tolse il microfono al costruttore e ci guidò dandoci coraggio: eravamo impauriti e demoralizzati, ma finalmente riuscimmo a posarla. Quando ho rivisto il filmato, lo confesso che mi sono messo a piangere”
“Fu un momento tremendo, ma nello stesso tempo salvifico – conclude Massimo Mecarini -. Da una tragedia sfiorata (che avrebbe significato la fine di una tradizione centenaria) alla rinascita con l’affidamento del Trasporto ai facchini”. Evviva Santa Rosa.

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